Valorizzando gli scarti alimentari si creerebbe un circolo economico virtuoso che risolverebbe tre grandi emergenze planetarie: la fame, il lavoro e la produzione di rifiuti. Anche questo sembrerebbe uno dei tanti “magheggi” che si trovano su questo sito, ma in realtà, come negli altri casi che qui trattiamo, si tratta semplicemente di trovare la soluzione proprio nel punto in cui questi problemi convergono tra di loro provenendo da considerazioni lontane e diverse. Come se si trattasse di un ipotetico incrocio stradale dove si incontrano discipline diverse che poi proseguono il viaggio per la stessa strada fino ad una meta che, almeno nelle intenzioni, tutti condividono. Per prima cosa quindi, bisogna trovare il punto di convergenza. Entriamo nel merito.
Nel mondo esiste già una capacità produttiva che è in grado di sfamare oltre 10 miliardi di persone (lo abbiamo dimostrato con questo articolo: La terra basta per tutti). Il fatto che oltre 800 milioni di persone su questo pianeta ancora oggi non dispongono di una alimentazione quotidiana sufficiente per sopravvivere e mantenersi in salute, dipende dagli enormi sprechi che si realizzano nel momento della raccolta (magari per banali motivi estetici), nella fase di trasformazione, in quella della distribuzione (mangimi per l’alimentazione animale) e, soprattutto, nel mancato consumo del cibo che poi viene buttato nella spazzatura. In tutte queste fasi si producono quantità enormi di rifiuti che determinano a loro volta ingenti costi di smaltimento e gravi problemi d’inquinamento ambientale. Il nodo del problema quindi sta in un modello alimentare caratterizzato da sprechi sempre più crescenti e insostenibili. Questo è il punto di convergenza. Se si riuscisse a riutilizzare e riciclare tutti questi rifiuti si otterrebbe un doppio vantaggio economico: dargli un valore monetizzabile in quanto risorsa rinnovabile ed risparmiare allo stesso tempo soldi con il mancato costo di smaltimento. Trovato il punto di convergenza bisogna ora individuare il percorso da fare insieme per arrivare alla meta.
La possibilità/necessità di riuso e riciclo degli scarti alimentari in buona parte si sta già realizzando in tutti i paesi del mondo, ma è attuata sostanzialmente solo per due tipologie di rifiuti organici: quelli provenienti dalle industrie agro-alimentari e quelli provenienti dalla raccolta differenziata domiciliare domestica. Ben poco rispetto alla quantità complessiva, con l’ulteriore problema che il riuso/riciclo di tali materiali viene attuato quasi sempre per scopi energetici, cioè per produrre biogas e bio-metano. Solo una parte è destinata al compostaggio di qualità per il riutilizzo in agricoltura. In entrambi i casi comunque si parla di economia circolare (giustamente, perché si evita di buttarli via), ma si tratta di materiali recuperati a valle di un processo di produzione e consumo che in qualche modo resta “aperto”, mentre l’economia circolare prevede la chiusura completa dei cicli produttivi. Non si ottiene pertanto quel doppio vantaggio economico su indicato: il recupero di energia e di materia dai rifiuti organici non giustifica e non elimina il costo di smaltimento. Dove sta allora la soluzione al problema?
Nel trasformare gli scarti alimentari in materie pulite, rinnovabili e alternative a tutti i prodotti attualmente derivati dal petrolio e da processi chimici di sintesi. Parliamo di plastiche, combustibili e lubrificanti, componenti per auto (incluse barche, treni e aerei), cosmesi, vestiario, arredamento e persino abitazioni che possono essere realizzate con prodotti di scarto dell’agricoltura e dei processi agro-industriali. Meglio ancora se derivati da metodi di coltivazione biologici.
Per dimostrare la nostra tesi prendiamo ad esempio le plastiche biodegradabili che oggi si possono ottenere, tra l’altro, dalle bucce dei pomodori e delle arance. Due produzioni che vengono realizzate soprattutto nei paesi mediterranei facendo ricorso ad un massiccio ricorso alla mano d’opera irregolare di immigrati clandestini e dall’uso intensivo di fertilizzanti e pesticidi. Tra le bio-plastiche ricavate da questi scarti e che si ottengono con procedure industriali ormai mature, ci sono alcuni prodotti che permetteranno di incidere pesantemente, ma questa volta in modo positivo, sulla sostenibilità economica, sociale ed ambientale dell’intero ciclo produttivo. Uno di questi è la bio-plastica per la pacciamatura del terreno: serve a coprire il suolo al fine di impedire la crescita delle erbe infestanti. Questo materiale si auto-degrada con la luce del sole quando le piantine di pomodoro hanno raggiunto uno sviluppo tale da non soffre più della competizione nutritiva delle infestanti. Un altro esempio sono le bio-plastiche che si ottengono dalle bucce delle arance per produrre i contenitori alveolati utilizzati per la conservazione e il trasporto della frutta, arance incluse. Si tratta quindi di prodotti “auto-riciclanti”, che servono cioè a produrre in modo ecologico le stesse materie prime dalle quali vengono ottenuti.
Diventando una risorsa e non più un costo, in sostanza gli scarti fanno risparmiare alle aziende un bel mucchio di soldi che ad esempio potrebbero utilizzare, se lo volessero, per regolarizzare con un apposito contratto di lavoro gli immigrati clandestini ridotti al limite della schiavitù. Che poi sono le stesse persone costrette ad emigrare dai loro paesi quasi sempre a causa della fame e della povertà che continua ad essere imposta a buona parte dell’umanità da un modello di consumo che ci sta portando alla catastrofe planetaria. Eccoci arrivati alla meta.
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