Soprattutto in Europa la definizione “Organismi Geneticamente Modificati” (OGM), malgrado i sistematici e ambigui tentativi dell’UE di dimostrare il contrario, ormai è diventata sinonimo di insuccesso commerciale.
Anche in America, dove è stata inventata e messa a punto la tecnologia di inserire elementi estranei nel DNA (codice genetico) di un organismo vivente, molti produttori e consumatori cominciano ad essere diffidenti. Meglio, quindi, cambiare nome. Ora vengono definiti “New Breeding Techniques”, Nuove Tecniche di Riproduzione. Sono tecniche che permettono (in vitro) l’inserimento, nelle cellule delle piante, di sequenze genetiche o proteine di un transgene della stessa famiglia vegetale o di un transgene che ne alteri alcuni tratti, per poi essere eliminato. C’è poi anche la tecnica che permette di innestare su una pianta transgenica una pianta non transgenica. Sempre roba per ingegneri che non hanno mai visto, e usato, una zappa in vita loro.
LA CULTURA CHE C’È SOTTO: LORO FURBI, NATURA CRETINA
La noiosa filosofia che sostiene questi tentativi di modificare in laboratorio qualcosa che è mai avvenuto e mai avverrà spontaneamente nei campi coltivati, è sempre la stessa: la Natura ha una logica alquanto “deficiente” perché permette agli insetti di attaccare le nostre colture, ai batteri, ai funghi e ai virus di cibarsene a loro piacimento in condizioni meteo favorevoli, alle erbe spontanee di contrastare e competere con la loro crescita, ai frutti del raccolto di decomporsi dopo la maturazione.
L’essere umano “intelligente”, invece, deve contrastare tutto ciò con un’ingegneria genetica capace di produrre semi e piante in grado di sviluppare, con l’ausilio dei prodotti chimici ad essi strutturalmente collegati, le necessarie difese da ogni tipo di problema. Cioè nuovi organismi non presenti in natura né ottenibili con criteri naturali. È la Natura che si deve adattare alle esigenze dell’uomo e non è più tollerabile che avvenga il contrario.
MANIPOLARE LE PAROLE
I fautori di questa nuova metodologia sostengono che non si può parlare di OGM, perché i segmenti genetici inseriti forzosamente nel DNA dei nuovi semi, sono compatibili con quelli che si trovano nelle ordinarie operazioni di incrocio genetico. Ci si avvicinerebbe in tal modo alla tecnica dell’ibridazione, che è la combinazione di materiale riproduttivo appartenente alla stessa specie per ottenere una nuova sottospecie: una tecnica “usata” dalla Natura per creare l’immensa biodiversità che oggi abbiamo a disposizione. Si tratterebbe quindi di imitare fenomeni naturali come la selezione, l’incrocio e l’abbinamento, con una metodologia più veloce e precisa rispetto alle tecniche convenzionali. Per questo motivo i nuovi organismi risultanti non dovrebbero essere sottoposti alla Direttiva europea sugli OGM (fortemente contrastata da molti Stati membri) e che impone di indicarne la presenza sulle etichette dei prodotti alimentari derivati. Non la pensano così gli esperti della Rete europea di scienziati per la responsabilità sociale e ambientale. Le cosiddette nuove tecniche di riproduzione NBT loro le definiscono “nuove tecniche di modificazione genetica (NGTM) e chiedono perciò all’Unione europea di disciplinarle “al livello delle più stringenti regole sugli Ogm”. Ha firmato il documentatissimo appello, anche il microbiologo di fama mondiale Arpad Pusztai. Convinto sostenitore degli Ogm, cambiò idea quando scoprì che la patata transgenica, spacciata come “equivalente” a quella naturale, danneggia lo sviluppo degli organi, il metabolismo e le funzioni immunitarie dei topolini.
ANCORA BREVETTI SULLA VITA
Resta il fatto che questi semi NBT saranno brevettabili, quindi bisognerà acquistarli dai titolari del brevetto e/o da chi dicono loro. Come per gli Ogm, vi sarà il rischio di una contaminazione dell’ambiente circostante a dove verranno coltivati: il polline degli NBT potrebbe interferire coi normali scambi che avvengono tramite gli insetti impollinatori finendo sui fiori di coltivazioni non NBT. L’impatto di questi super-prodotti creati in laboratorio può riguardare non solo le coltivazioni, soprattutto quelle che rendono tipici i nostri prodotti e caratteristica la nostra dieta mediterranea, ma anche la salute generale della popolazione: per tale motivo sarebbe opportuno indicare chiaro e tondo che si tratta di NBT sull’etichetta (dei semi e degli alimenti che ne derivano) per una piena tracciabilità. Cosa che le industrie sementiere interessate – le stesse che producono anche i prodotti chimici ausiliari – non si sognano minimamente di fare.
GOVERNI AMBIGUI
In tutto questo, neanche a dirlo, persiste una sostanziale ambiguità di alcuni paesi sul tema, tra i quali c’è l’Italia, soprattutto in riferimento a ciò che hanno fatto e stanno facendo altri Stati dell’Unione Europea. La Francia, ad esempio, alcuni anni fa ha presentato ricorso contro gli NBT presso la Corte di Giustizia dell’UE che si è pronunciata nel 2018 con una sentenza molto chiara e che non lascia margini di dubbi: le nuove tecniche di genome editing (NBT) sono a tutti gli effetti OGM e come tali devono sottostare alle normative europee esistenti in materia.
Tra l’altro, aggiungiamo noi, la letteratura scientifica mondiale sta dimostrano che anche queste tecniche comportano mutazioni indesiderate (cosiddette off target), cosi come già avvenuto per gli OGM. Senza considerare poi che, essendo queste tecniche brevettabili (sono state create proprio per questo) c’è l’ulteriore violazione dell’articolo 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche e per l’alimentazione e l’agricoltura (ITPGRFA), il quale stabilisce che “nessuna disposizione del presente articolo comporta una limitazione del diritto degli agricoltori di conservare, utilizzare, scambiare e vendere sementi o materiale di moltiplicazione”.
Con queste tecniche, a livello pratico, cambiano la forma e la sigla ma resta la sostanza: manipolare la vita e correggere gli errori della Natura “cretina”.
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