(con la collaborazione di Caroline Susan Payne)
La buona volontà, anche quella singola, può mettere e rimettere in gioco energie, idee, esperienze e tradizioni che spesso sono state abbandonate, isolate e dimenticate da una società sempre più frenetica. Ed è proprio una certa positività fattiva, soprattutto in questo periodo di pandemia, che sta facendo recuperare anche in chiave economica, oltre che sociale, un sentimento comune a tutti noi, ma completamente ignorato dall’economia moderna, basata esclusivamente sulla finanza e sul profitto a tutti i costi. È il bisogno di sentirsi, di essere parte, di riconoscersi e di identificarsi in una comunità. Da questo bisogno stanno scaturendo esperienze in tutto il mondo, che rappresentano una risposta positiva ad alcuni dei principali problemi che attanagliano la nostra società. Ve ne presentiamo alcuni.
Sambuca non è solo la denominazione di un noto liquore, ma anche e soprattutto il nome di una bella città siciliana in provincia di Agrigento, dove si è realizzata una storia di impegno e di entusiasmo sociale. Qui una volta c’era un’antica e curiosa tradizione che era stata dimenticata nel tempo: quella dell’illuminazione alla veneziana – luci all’interno di vetri normali o colorati – in occasione della festa di Santa Maria dell’Udienza. La prossima edizione di questa festa, che si celebra da 445 anni, civid 19 permettendo si terrà nel prossimo mese di maggio 2021. La tradizione di questa particolare illuminazione del corso principale del paese si era instaurata alla fine dell’Ottocento, quando un artigiano locale si era recato a Venezia ed aveva potuto osservare al lavoro i maestri vetrai di Murano.
Così pensò di progettare 24 archi e 60 candelabri di diverse forme, inclusa una fontana luminosa, tutti fatti di bocce e di bicchieri di vetro di svariate forme e colori, realizzati proprio presso la nota fabbrica nella laguna veneta. Negli ultimi decenni la tradizione era caduta prima nell’incuria e poi nel dimenticatoio: i vetri si erano quasi tutti rotti e gli antichi archi di legno erano ridotti in condizioni pessime. Qualche anno fa però alcuni volontari del paese iniziarono a spendere il tempo libero, la fatica e il poco denaro a disposizione per rimettere in piedi la tradizione.
Il lavoro da fare era impegnativo e quindi a qualcuno è venuta l’idea di lanciare un appello su internet, chiedendo sostegno materiale, morale ed economico. In poco tempo l’entusiasmo ha coinvolto non solo tutti i paesani, ma anche persone di altre parti d’Italia e nel resto del mondo.
Ad esempio, lavorate da musulmani e destinate ad una tradizione cattolica, circa mille palle di vetro colorate di bianco, rosso e verde sono arrivate da Hebron, in Palestina, dall’altra parte del Mediterraneo, dove esiste una lunga tradizione di lavorazione del vetro. Per gestire la manifestazione è stata costituita un’apposita associazione e l’evento è diventato uno dei maggiori fattori di attrazione turistica dell’intero comprensorio.
Si chiama “torta dei pettegolezzi” ed è un altro esempio di come le persone di buona volontà possono dare un contributo alla propria comunità, anche in senso economico, quando per svariati motivi si trovano marginalizzate. L’iniziativa è nata a Monaco di Baviera, in Germania, dove sempre più spesso molti pensionati (soprattutto le donne) si ritrovano isolati dalla società quando il coniuge muore. Con i figli che vivono altrove, queste persone trovano un contatto solo con il proprio medico di famiglia, mentre le loro abilità diventano praticamente inutili: di fatto la solitudine riempie la loro vita.
È stato riscontrato che l’isolamento sociale può portare alla morte anticipata tanto quanto il fumo e le malattie cardiovascolari e la prescrizione di farmaci antidepressivi sta diventando un’importante voce di spesa sanitaria in quel Paese. Così a due giovani donne volontarie, Katharina Mayer e Katrin Blaschke (nella foto qui a destra), è venuta l’idea di creare un luogo di incontro attivo per gli anziani, attraverso il quale queste persone possono anche arrotondare la loro pensione minima. Il luogo in questione è un panificio e gli anziani coinvolti sono 20 in tutto: 19 donne (sono quelle che si vedono nella foto di apertura) e 1 uomo.
Per 450 euro al mese e per tre giorni a settimana la loro mansione è quella di fare ciò che hanno sempre saputo fare molto bene: cucinare torte “della nonna”. In questo caso, però, per la vendita su ordinazione, fatte come desidera il cliente, facendo in modo di usare solo ingredienti locali e di stagione. Quindi le torte di fragole ci sono solo in tarda primavera, ma non in autunno e in inverno. Niente strudel se non prima di agosto, quando si cominciano a raccogliere mele e prugne, mentre per le ciliegie se ne parla esclusivamente per le tre – quattro settimane di inizio estate, quando vanno a maturazione.
Ne sono venuti fuori oltre 600 tipi di torte e 480 tipi di “muffins” che vengono consegnati ai clienti rigorosamente in bici. L’ingrediente che contraddistingue tutte queste preparazioni e che sembra stia determinando il successo di questa iniziativa è quel pizzico di maliziosità benevola che le nonne ci mettono quando chiacchierano tra di loro mentre preparano i dolci. Quasi sempre i clienti sono gente conosciuta, ma anche per chi si presenta per la prima volta per una ordinazione, basta un loro sguardo per prendere le decisioni del caso: quindi decidono loro, magari se un soggetto è in sovrappeso, quanto e quale dolcificante usare. Finora non si è mai lamentato nessuno.
Uno dei maggiori fattori di disuguaglianza in India è la distribuzione e l’accesso all’acqua potabile. Nonostante l’impetuosa crescita economica di quel Paese, un terzo della popolazione è ancora oggi sotto la soglia della povertà. Il sistema idrico è stato appena abbozzato e comunque sta riproducendo gli stessi errori compiuti nei Paesi occidentali, dove la filtrazione e la depurazione dell’acqua avviene a livello centralizzato per poi essere distribuita nei territori con lunghe canalizzazioni. Le dispersioni e i furti, soprattutto nelle zone più remote, rendono altamente inefficiente il sistema.
E così al signor Anand Shah, che sedeva in una impresa sociale a scopo di lucro, è venuta un’idea per fornire ogni località di distributori automatici in grado di filtrare e depurare l’acqua direttamente sul posto. Così, con l’appoggio di un’associazione caritatevole, ha messo in piedi un’azienda (la Sarvajal) che collabora con i proprietari di piccole imprese fornitrici d’acqua potabile nelle varie parti dell’India.
In un primo tempo i soggetti coinvolti erano soprattutto quelli che operavano nelle zone rurali, ma ora l’operazione si sta rivelando vantaggiosa anche nelle grandi città. L’installazione dei distributori, alimentati ad energia solare, si ripaga in tre anni di attività: può sembrare un tempo lungo, ma in realtà ciò avviene perché l’acqua viene distribuita ad un costo minimo per gli utenti (5 centesimi di dollaro per venti litri).
Anche questo fatto può sembrare una contraddizione visto che per la fascia più povera della popolazione il prezzo di approvvigionamento giornaliero costituisce comunque un sesto del misero reddito familiare. Ma l’esperienza ha dimostrato che gli interventi assistenzialisti con la fornitura di acqua gratuita invece che risolvere ha amplificato molti problemi sanitari: circa il 21% di tutte le malattie infettive in India sono legati alla cattiva gestione domestica dell’acqua. Ogni giorno, ad esempio, più di 1.600 persone muoiono di diarrea. Questo sembra avvenire a causa della particolare mentalità della popolazione povera che ha scarsissima considerazione di se stessa.
Il fatto di dover pagare l’acqua invece responsabilizza la gente, dimostrando in primo luogo a se stessi di essere in grado di farlo, e per questo i risultati sanitari, dove è stata adottata l’iniziativa, sono oggetto di studio per i risultati raggiunti. Nelle zone rurali inoltre, quelle più svantaggiate nell’intera economia indiana, l’iniziativa ha già creato 400 posti di lavoro.