Passare dal sistema energetico che usa le fonti non rinnovabili ad un altro che utilizza solo quelle rinnovabili non è uno scherzo: lo sappiamo bene. D’altra parte sappiamo che questo passaggio non solo è necessario a causa dell’emergenza climatica in corso, ma è anche obbligatorio perché le fonti fossili (petrolio, gas, carbone e uranio) prima o poi finiranno o comunque sarà troppo costoso continuare ad estrarle anche se non ancora esaurite. Oltre tutto questo, il passaggio è anche desiderabile sotto il profilo della democrazia e della pace tra le varie nazioni del globo. I combustibili ricavati dal petrolio attualmente vengono bruciati in miliardi di veicoli, abitazioni e impianti industriali di tutto il mondo, ma in realtà la sua estrazione rimane, anche per il prossimo futuro, in mano a poche, mastodontiche corporazioni. Una manciata di aziende che di fatto determinano un oligopolio/monopolio su scala internazionale. L’estrazione inoltre viene effettuata tutto sommato in poche zone del pianeta, che spesso sono teatri di guerre tra i contendenti e di conflitti con le popolazioni native. Invece il sole per i pannelli solari (termici e fotovoltaici), il vento per gli impianti eolici, l’acqua per le centrali idroelettriche e le biomasse per la produzione di energia e calore (bio-metano e legna da ardere) ci sono dappertutto e non costano niente.
Sappiamo bene anche che per effettuare questo necessario passaggio occorrono grandi investimenti, ma non si tratta è un problema di soldi perché le risorse già ci sono. Sono le stesse che stiamo sprecando ogni anno e sempre di più per l’acquisto delle fonti non rinnovabili e che, malgrado il lieve calo dovuto alla pandemia, ammontano a 8 miliardi dollari al giorno (oltre 2.900 miliardi annui). Piuttosto è un problema di mancanza di volontà politica nell’imporre in tempi rapidi a tutto il sistema energetico mondiale la transizione ad un modello che, oltre ad arrivare a zero emissioni, la smetta di farci sprecare risorse economiche che permetterebbo di realizzare la transizione in tempi brevi. Anche se le vecchie corporazioni petrolifere da questo orecchio non ci sentono, perché da un lato cercano di rallentare il più possibile la sostituzione delle fonti fossili per continuare a fare i loro profitti, dall’altro chiedono (anzi, pretendono) che per pagare questa transizione venga utilizzato denaro pubblico. In questo senso è altissimo il rischio che buona parte dei finanziamenti europei stanziati con il programma “Next Generation” e gli obiettivi del “New Green Deal” diventino l’ennesimo debito a pubblico a tutto vantaggio dei soliti guadagni ai privati.
E allora, cosa possiamo fare noi cittadini per non cadere in questa ennesima trappola economica e politica? Per esempio far saltare dal basso questo business insostenibile gestito dalle corporazioni con altri piccoli business gestiti direttamente dai cittadini. Esperienze del genere sono già in corso in molti paesi e a titolo esemplificativo ne riportiamo uno che ha avuto molto successo in Danimarca: paese dove sono pochi i giorni dell’anno in cui non ci sia il vento. Molti singoli consumatori di energia elettrica, le singole famiglie in particolare, erano interessati ad investire in infrastrutture per la produzione da fonti rinnovabili ma spesso gli investimenti necessari erano troppo grandi e molta era la competenza richiesta per progettarli e portarli a compimento. Prendere in mano la situazione era complicato fino a quando a qualcuno venne in mente di creare la prima “cooperativa eolica”. Alcune famiglie hanno messo insieme i soldi a loro disposizione per costruire una turbina che produce energia sfruttando la forza del vento: in Danimarca questi tipi di strutture sono realizzabili anche in mare aperto.
Dal 1996 infatti in quel paese è stato reso possibile creare dei parchi eolici “off-shore” ed un gruppo di persone locali ha cosi deciso di fondare la Middelgrunden Wind Turbine Cooperative che ha poi stabilito subito una collaborazione con la società Copenhagen Energy, l’ente elettrico locale. In questo modo le famiglie sono diventate comproprietarie di impianti di produzione energetica e di conseguenza, come una sorta di lobby collettiva, sono intervenute sulle decisioni degli investimenti che dovevano essere attuati dai governi locali e nazionale. Allo stesso modo hanno cosi potuto negoziare i prezzi con gli operatori delle grandi reti elettriche danesi, condizionandone direttamente le scelte. L’intero parco eolico oggi è posseduto al 50% dai 10.000 soci della cooperativa e al 50% dalla società di servizi municipali. L’impianto è stato realizzato con 20 turbine della capacità di 2MW ciascuna e a pieno regime produce tanta energia elettrica quanto una centrale turbogas di medie dimensioni e più di un singolo reattore nucleare. Il parco è ben visibile al largo della costa di Copenhagen per chi visita la città ed è diventato un esempio per l’energia eolica di comunità. Quella eolica oggi è la principale fonte di produzione elettrica in Danimarca e alle grandi corporazioni delle fonti fossili ormai non da più ascolto nessuno.