Mentre continuano a scorrere le immagini di disperati che cercano di raggiungere le nostre coste per dare un futuro a se stessi e ai loro figli, gli ultimi dati della FAO dicono che per la prima volta nella nostra storia, le persone che stanno soffrendo la fame nel mondo sono meno di 800 milioni: il dato è in progressiva, anche se lenta, discesa. È una notizia positiva, ma questo significa che anche alla fine di quest’anno nel conto ci dovremo mettere 3,5 milioni di bambini morti per tale causa. Avanti di questo passo ci vorranno decenni per eliminare il problema. Ma facciamo due conti. Se potessimo dividere la terra attualmente arabile nel mondo, ogni abitante attuale del pianeta avrebbe a disposizione circa 2mila metri quadrati di suolo coltivabile. Sembra una dimensione esigua ed invece con un piccolo campo di questa superficie si possono produrre potenzialmente ogni anno, ad esempio, circa 15mila chili di pomodori, oltre 8mila chili di patate e circa mezza tonnellata di fagioli. Attenzione: stiamo parlando di terra coltivabile, perché arabile, che è di circa 1,4 miliardi di ettari, non del suolo destinato all’agricoltura nel suo complesso a livello planetario (frutteti, oliveti, piantagioni, pascoli, ecc.) che è pari a circa 4,1 miliardi di ettari.
Un campo di calcio basta per una famiglia
Ovviamente le quantità riportate nell’esempio sono abbondanti e in eccesso rispetto fabbisogno personale di ognuno di noi: questi alimenti quindi potrebbero essere scambiati con altri prodotti per completare e rendere più equilibrata la nostra dieta, oppure con altre cose di necessità quotidiana o con beni durevoli.
In sostanza basta la superficie equivalente a un campo di calcio per sfamare, vestire ed alloggiare una famiglia mediamente composta da sei persone: due genitori, due figli e due nonni. Il problema della fame dunque non è determinato dalla mancanza di cibo, ma nell’accesso ad esso e nella sua distribuzione.
Come funziona il “fai da te” alimentare
Questo semplice ragionamento è alla base di un progetto che sta sviluppando da alcuni una Organizzazione non governativa tedesca che si chiama proprio “2000m²” (duemila metri quadrati). Il progetto, ideato nel 2013, è già partito da cinque anni e punta proprio a dimostrare che la terra coltivabile esistente al mondo è più che sufficiente per nutrire ogni essere umano, persino senza il ricorso ai pesticidi e ai fertilizzanti chimici. Per questo è stata strutturata una fattoria che si trova a Spandau, vicino Berlino, dove chiunque può produrre da sé cereali (per lo più grano, mais e riso), ortaggi e legumi: gli alimenti base di un pasto completo e nutriente. Queste coltivazioni comunque possono essere sostituite con altre ritenute più consone alla propria dieta, tipo l’amaranto e la quinoa, cereali di origine sudamericana ricchi di vitamine e minerali, tipici della tradizione alimentare dei popoli andini.
Le vere cause della fame
Il progetto vuole anche dimostrare per via empirica (quindi non basandosi solo su interminabili analisi di dati e documenti incomprensibili ai più) quali sono le cause che impediscono ad ogni abitante della Terra, soprattutto i bambini, di avere tutti i giorni una alimentazione sufficiente ed equilibrata. Sono tutte cause strettamente collegate tra loro e derivano dall’insostenibile modello alimentare che si è instaurato e si sta espandendo sempre di più a livello mondiale. Innanzitutto, ci sono gli allevamenti di animali: è ormai dimostrato che il consumo di carne richiede tanto suolo coltivabile e, per assurdo, proprio questo è il principale fattore che sta alterando il clima del nostro pianeta.
Fattorie bio-pedagogiche: più pratica e meno teoria
L’esperienza in corso a Berlino comunque non è l’unico buon esempio di cosa potrebbe fare ognuno di noi per risolvere definitivamente il problema della fame nel mondo. Una iniziativa parallela è stata avviata anche in Svezia dall’associazione Ytterjarna, nella zona di Stoccolma, che ha creato una fattoria analoga a quella tedesca anche a fini pedagogici: i tirocinanti, i volontari e gli altri partecipanti ai corsi devono contribuire ai lavori nell’orto per completare l’apprendimento. In questo campo (in tutti i sensi) serve più la pratica che la teoria. Nell’esempio svedese i 2.000 metri quadrati vengono coltivati secondo i principi dell’ERA (Ecological Recycling Agriculture – Agricoltura di Riciclaggio Ecologico), un nuovo concetto di coltivazione sviluppato da due progetti locali che hanno come obiettivo, tra gli altri, la lotta all’eutrofizzazione del Mar Baltico. Diversamente dai canoni dell’agricoltura biologica “regolare”, che comunque usa prodotti extra aziendali, questi progetti puntano all’autosufficienza, sia per quanto riguarda la fertilizzazione dei terreni che le sementi utilizzate in azienda, attraverso un rigoroso programma di rotazioni delle colture. Per permettere al suolo di rigenerarsi da sé, gli ortaggi e i cereali non possono essere coltivati sullo stesso terreno prima di un certo numero di anni.
Il progetto è sostenuto dal Comune di Stoccolma ed ha l’obiettivo di creare una rete internazionale di realtà che puntano a raggiungere uno sviluppo sostenibile attraverso la promozione di una agricoltura di riciclaggio ecologico, la produzione alimentare locale e abitudini alimentari ecocompatibili.
Il tutto anche in prospettiva di permettere ad ogni abitante della Terra di avere abbastanza terreno coltivabile per produrre a casa propria il cibo necessario per sostenere se stesso e la propria famiglia.
Troppa carne aggrava l’emergenza climatica
Per la produzione di carne, in tutti i Paesi occidentali ma ormai anche in Cina e in India, si sta utilizzando molta più terra di quanta ne avrebbe bisogno ognuno di noi: ancora oggi quasi il 40% della produzione mondiale di cereali viene destinata all’allevamento del bestiame. Circa il 18% delle emissioni di gas serra a livello planetario deriva da queste attività. Strettamente collegato a questo problema poi c’è l’eccessivo uso di acqua dolce per produrre insilati e mangimi, che a sua volta determina la perdita della fertilità dei suoli e l’inquinamento dei corsi d’acqua superficiali. Seguono altri problemi di competizione con l’uso del terreno a fini alimentari: tra questi ci sono le colture destinate alla produzione di carburante biodiesel e biogas.