Per la prima volta nella storia millenaria dell’umanità, l’attuale generazione di giovani sarà più povera di quanto lo sono stati i loro genitori. L’unico modello di riferimento che gli viene prospettato è l’aumento continuo della produzione con contestuale diminuzione dei costi, anche se ormai nessuno sa come dal lavoro cosi precarizzato si riuscirà a garantire l’assistenza (pensioni, sanità, servizi, ecc.) ad una popolazione che invecchia sempre di più. Per restare a galla questi ragazzi dovranno impegnare quello che per i loro genitori era tempo libero e di riposo, lavorando anche per ore non pagate, di domenica e di notte. Molti di loro non riusciranno a metter su una famiglia e non possederanno mai una casa propria. Mentre nel frattempo l’1% già ricco della popolazione mondiale diventerà sempre più ricco continuando a rubare il loro futuro con l’alterazione del clima e il depauperamento delle risorse naturali. C’è poco da girarci intorno con le parole, viste anche le macerie che lascerà dietro di se l’attuale pandemia: in assenza di strumenti economici e politici che permettano di eliminare questo scenario di persistente precarietà, quello dell’attuale generazione di giovani sarà un futuro di merda. Eppure esiste una strada per uscire da questa perversione di assenza di prospettive e tra l’altro sarebbe anche facilmente perseguibile, se ci fosse la volontà di intraprenderla.
Occorre in sostanza che la politica crei da subito una rete di sicurezza sociale che non può più escludere quella retribuzione universale di base chiesta da Papa Francesco nel giorno di Pasqua dello scorso anno con la sua lettera ai movimenti popolari di tutto il mondo. Non un reddito o un salario minimo garantito qualsiasi (di cittadinanza, di sussistenza, di inserimento lavorativo , ecc.) ma un vero e proprio corrispettivo del lavoro che gli ultimi, i sottopagati, i disoccupati e le persone che vivono al limite della sopravvivenza apportano in ogni caso all’economia globale. Parliamo di lavoro retribuito che si può creare anche domani con la copertura economica che illustriamo in questo articolo. E questo ragionamento può e deve valere anche per tutta la generazione attuale di giovani a livello globale. La retribuzione universale di base dovrà pagare quindi un lavoro comunque socialmente utile, ma senza entrare nella spirale dell’assistenzialismo, come purtroppo è avvenuto in passato in molti paesi europei, soprattutto in Italia.
Qualcuno potrebbe pensare che una prospettiva del genere è pura follia perché, ad occhio e croce, per restare nel caso italiano, occorrerebbero in linea teorica circa 30 miliardi di euro all’anno, volendo retribuire con mille euro al mese i 2,7 milioni i disoccupati che c’erano in questo paese nel 2019. In realtà, come vedremo, la cifra reale non solo potrebbe essere pari a zero, ma addirittura le casse dello Stato ci potrebbero anche guadagnare. Ma intanto, per restare a livello teorico, dove li troviamo 30 miliardi per garantire un’operazione di questo tipo? La risposta è semplice: eliminando la spesa che ogni anno viene sprecata con l’acquisto degli stessi combustibili fossili che stanno anche modificando irreversibilmente il nostro clima. Negli ultimi dieci anni l’Italia, che dispone solo in minima parte di risorse energetiche proprie, in media ha speso 60-70 miliardi di euro all’anno per comprare dall’estero gas, petrolio e carbone. Di questa cifra circa la metà (30-35 miliardi) è stata utilizzata per alimentare centrali termiche per la produzione di energia elettrica. Già questo dato ci dice che con la crescita sempre più impetuosa delle fonti rinnovabili, tale spesa calerà sempre di più nel tempo, tendendo progressivamente a zero. Dai nostri calcoli basterebbe spostare ogni anno una parte minima di questo enorme spreco di denaro (noi abbiamo ipotizzato il 5% annuo) e nel giro di 8-10 anni l’intero fabbisogno elettrico italiano potrebbe essere soddisfatto con energia pulita. Tra l’altro, creando centinaia di migliaia di posti di lavoro e quindi facendo calare la massa di persone in cerca di occupazione. Per questo stimiamo che il costo finale teorico per la “retribuzione universale di base” non dovrebbe superare 2 – 3 miliardi di euro l’anno.
Ma le lobby del settore, come ben sappiamo, sono maldisposte a farsi da parte per lasciare il posto alle fonti rinnovabili. Come li convinciamo a sloggiare il più velocemente possibile? Per esempio istituendo un’imposta sulle emissioni di gas serra nell’atmosfera, ad iniziare dal carbonio. In particolare con un’aliquota pari al 25% di quanto propone da anni la Commissione Stern Stiglitz (120 euro per tonnellata di CO2 prodotta) che si potrebbe applicare inizialmente al settore energetico, che è responsabile di circa un terzo di tutte le emissioni in questo paese. E visto che nel 2019 queste emissioni sono state equivalenti a circa 100 milioni di tonnellate, si generebbe così un flusso flusso di cassa pari a circa 3 miliardi di euro l’anno. Ecco quindi come si può arrivare alla copertura totale della retribuzione universale di base proposta da Papa Francesco. A tutto questo va poi aggiunto il fatto che creando centinaia di migliaia di posti di lavoro in più, non solo cala la massa delle persone in cerca di lavoro, ma aumentano proporzionalmente anche le entrate erariali con la tasse sui redditi da lavoro.
Vanno infine aggiunti i costi mancati per curare le malattie causate dall’inquinamento e tutti gli altri benefici che deriveranno da un ambiente più pulito. Altroché utopia, con la retribuzione universale di base e l’eliminazione dei gas serra, di fatto alla fine lo Stato ci guadagna un sacco di soldi. Ma per realizzare tutto questo bisogna intanto smetterla di continuare a lasciare la parola agli incompetenti e di permettere ai competenti di passare ai fatti concreti.