Crescita, austerità, tasse, investimenti e disoccupazione sono questioni che sentiamo dibattere quotidianamente nelle tv e sui giornali. Si discute molto sul modo di affrontare la crisi economica in corso. Il dibattito ruota sempre intorno ad un tema generale, le cosiddette riforme economiche, con le quali si promettono cambiamenti risolutivi che però non arrivano mai. In molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, si stanno imponendo enormi sacrifici alle comunità per permettere alle rispettive economie di essere competitive sui mercati internazionali.
È come se si trattasse di un gioco infinito con il quale si determinano vincitori e sconfitti, magari ricorrendo a giganteschi bluff: lo scandalo delle macchine della Volkswagen, inquinanti e truccate, ne è un tipico esempio.
E SE PARTISSIMO DAI BENEFICI COLLETTIVI?
Ma cosa succede se si prova ad invertire i termini del problema: cioè se si imposta un’economia che prioritariamente si occupa dei benefici da apportare alle comunità e all’ambiente in cui vive? Magari non considerando, o lasciando sullo sfondo, gli interessi degli azionisti delle società che hanno la loro ragion d’essere solo nei fini di lucro?
Il concetto in fondo è semplice e lo ha sviluppato la professoressa americana Elinor Ostrom, l’unica donna che fino ad oggi è stata insignita del Premio Nobel per l’Economia.
La sua tesi è che quei beni necessari ad ognuno di noi per vivere (acqua, aria, e salute, in primo luogo) non possono essere di proprietà di nessuno: né dello Stato, né del Mercato. Sono beni che debbono essere organizzati semplicemente nell’interesse della collettività e di conseguenza non c’è bisogno di rendere conto agli azionisti, ossia ai proprietari di aziende, siano essi pubblici o privati, sull’andamento delle loro gestioni: basta il buon senso comune.
L’ITALIA HA GIÀ L’ESPERIENZA
Si tratta di un’economia che in realtà esiste da molti secoli proprio nel nostro Paese: è quella che ha portato all’istituzione delle Comunità Montane e le Comunità Agrarie per l’utilizzo del nostro patrimonio boschivo e delle aree soggette ad usi civici. Attraverso queste Comunità sono stati regolati i diritti di pascolo, di prelievo del legname, di raccolta dei frutti spontanei, ecc.
Proprio partendo da queste considerazioni si stanno sviluppando sempre di più quelle che possiamo definire “imprese comunitarie”, cioè proiettate al perseguimento di benefici collettivi e a favorire rapporti più amichevoli tra le persone. Non sono imprese caritatevoli (che hanno altri importantissimi scopi), ma vere e proprie attività economiche che creano occupazione e ricchezza.
Queste imprese si stanno creando soprattutto nel nord Europa ed in particolare nel Regno Unito, considerato ormai da tutti il “cuore” della finanza mondiale (soprattutto quella speculativa) responsabile dell’attuale crisi. Qui ne diamo alcuni esempi concreti.
COME GUADAGNARE L’80% ANZICHE’ IL 7% DAL LAVORO AGRICOLO
Con l’Assemblea Alimentare (The Food Assembly), i clienti ordinano i generi alimentari di cui hanno bisogno direttamente ai produttori locali collegati attraverso internet: si possono acquistare sia alimenti freschi che trasformati. In tal modo gli agricoltori ottengono in media un rendimento dell’80% dalla vendita dei loro prodotti rispetto al 7% che ottengono attraverso il conferimento ai supermercati.
Gli scambi avvengono settimanalmente e, per abbassare il costo di acquisto, i clienti possono andare a raccogliere direttamente i loro prodotti sul campo. Il confronto faccia a faccia tra produttori e consumatori, proprio perché l’iniziativa è ben lontana dall’esperienza del supermercato, permette di raggiungere una consapevolezza collettiva sulle problematiche economiche e ambientali che interessano il territorio. Oltre al Regno Unito, l’iniziativa ha preso molto piede in Francia; ma anche in Belgio, in Germania e in Spagna.
Alcune Assemblee Alimentari collegate alla stessa rete internazionale sono sorte recentemente anche in Italia dalle parti di Ivrea, Milano, Brescia e Verona.
IL NEGOZIO DELLE COSE IN PRESTITO
Nella città di Frome, sud ovest dell’Inghilterra, è nato il primo negozio che non si vende nulla e dove invece si può prendere in prestito praticamente di tutto: dalle attrezzature per il bricolage ai mobili, dalle posate ai vestiti per i bimbi, senza dimenticare strumenti musicali, libri, quadri e molto altro ancora. Tutta roba ancora utilizzabile donata dalla comunità. Nella migliore tradizione anglosassone, pare che i trapani e gli attrezzi da giardinaggio siano gli articoli più richiesti. Otto giovani disoccupati sono stati coinvolti nella creazione dell’impresa. Anche in questo caso il successo dell’iniziativa è stato determinato dalla spontanea adesione della popolazione locale.
FRUTTETI E ORTI URBANI, CITTA’ PIU’ BELLE E FIORISCE IL BENE COMUNE
DUO (Dundee Urban Orchard) è invece un progetto di arredo urbano che coinvolge singole persone, famiglie e gruppi di individui per piantare e curare la crescita di piccoli frutteti all’interno della città di Dundee, in Scozia. Oltre ai vantaggi pratici di migliorare la biodiversità complessiva degli spazi urbani, l’iniziativa ricollega gli individui e i gruppi della comunità agli spazi verdi locali: questo anche al fine di far conoscere e riconoscere soprattutto ai bambini da dove proviene il cibo che mangiano quotidianamente. Non mancano laboratori d’arte per tutte le età e gli appuntamenti di approfondimento sull’economia eco-sostenibile.
DUO è anche un luogo dove le persone possono condividere le competenze e connettersi con altri membri della comunità.
C’è inoltre chi vuole imparare a fare il vero pane fatto in casa.
A Birmingham, Inghilterra, è stata messa a disposizione una scuola di cucina gestita da nonne volontarie: ai partecipanti viene insegnato anche come riconoscere il grano migliore per ottenere la farina e persino come organizzare la costruzione del forno. Quest’ultimo deve essere gestito collettivamente, altrimenti la nonne “pagnotta” (così definite in lingua inglese) si rifiutano di insegnare.
UNA ECONOMIA DAL BASSO CHE CREA LAVORO
C’è poi chi si preoccupa di insegnare alla gente come riparare cose rotte o danneggiate, chi edita giornali e quotidiani i cui proprietari sono direttamente i lettori, chi ha organizzato una cartamoneta alternativa utilizzabile per incrementare l’economia locale, chi raccoglie i fondi del caffè per produrre funghi e così via.
Ognuna di queste iniziative ha prodotto posti di lavoro dal nulla. Descriverle tutte è praticamente impossibile, ma, come si vede, tutte sono caratterizzate da tanta creatività: cioè dall’unione di fantasia e concretezza.
È proprio questo che risulta assente nei dibattiti che ascoltiamo tutti i giorni ed è questo il punto in cui vuole arrivare la nostra analisi. Per creare nuova economia e uno sviluppo sostenibile è necessario creare le condizioni affinché nuovi attori e nuove relazioni sociali possano prendere piede, partendo però dall’interesse collettivo e non da quello personale. Aspettarsi che a fare questo siano i vecchi imprenditori e coloro che detengono le stesse redini del potere da sempre, è come aspettare un treno che è ormai arrivato al capolinea.
La cultura imprenditoriale delle comunità invece continua ad andare avanti.
La biosepoltura
Nelle città inglesi, come in altre parti del mondo, cresce sempre di più la voglia dei cittadini di essere sepolti nella madre Terra. Il problema è che la cassa di legno è già di per sé poco degradabile e poi c’è l’involucro metallico per la sigillatura che rende praticamente impossibile questo desiderio. Ecco allora che qualcuno ha pensato alle “sepolture verdi”: con le stesse caratteristiche di sicurezza di quelle tradizionali, le bare sono fatte di materiali interamente biodegradabili. I cimiteri così concepiti in Inghilterra sono oltre 200 e alcuni si trovano direttamente nei boschi. Questi sistemi sono più economici, ma sono vietati in Italia.