Il clima sta cambiando ad un ritmo sempre più veloce e per questo anche l’economia dovrà accelerare il passo verso la transizione ecologica. Il tempo per gli idealismi e della pazienza di chi li proponeva è finito e tra i settori che dovranno procedere molto più speditamente rispetto all’andatura attuale c’è quello delle costruzioni: un settore che entro il 2050 non potrà più consumare un solo metro quadrato in più di suolo agricolo e che dovrà inventarsi una sopravvivenza solo con la rigenerazione del già costruito. In sostanza, là dove c’era e c’è l’erba d’ora in poi non potrà più esserci una città, ma anzi, con l’economia circolare la città potrà essere ristrutturata e rigenerata utilizzando l’erba come materiale da costruzione. Poi, quando anche questo materiale inevitabilmente andrà incontro all’usura del tempo, potrà essere riparato con alti prodotti ottenuti con materiali che imitano le riparazioni fatte naturalmente da alti esseri viventi: ad esempio da alcuni tipi di funghi.
In base ai criteri dell’economia circolare e delle soluzioni basate sulla Natura, una delle prime cose da pianificare nelle nuove progettazioni è il riutilizzo dei materiali derivanti dalle demolizioni che non dovranno più diventare rifiuti, ma dovranno tornare ad essere utilizzate come materie prime. . Bio Bound è un’azienda olandese che ha scelto di progettare spazi esterni agli edifici, arredi urbani, strutture funzionali ai parchi gioco, superfici lastrate e piastrellate e grandi pavimentazioni pedonali e ciclabili con un un particolare tipo di calcestruzzo (detto anche cemento armato) che usa come “legante” non più il cemento, ma resine naturali e plastica riciclata. In apparenza niente di più e di meglio rispetto ad altri prodotti che sono già in commercio, ma con la differenza che gli altri materiali da amalgamare non sono più la sabbia e la ghiaia estratte da apposite cave, ma un particolare tipo di erba, il Miscanthus Giganteus, detta anche “erba dell’elefante” perché originaria delle zone tropicali dell’Africa. Questa pianta, lontana parente della canna da zucchero, ha la capacità di crescere molto rapidamente (anche di parecchi metri in un solo anno) in terreni sterili, poco lavorati e con climi temperati. Era stata studiata in passato come fonte energetica alternativa da biomassa: da un ettaro coltivato a Miscanthus si potrebbero ottenere l’equivalente di 180 barili di petrolio. Si è poi scoperto che questa erba può essere usata come materiale riempitivo per il calcestruzzo (ne costituisce circa il 50%) miscelato insieme al granulato di macerie da demolizione: in particolare dai frantumi del cemento che già contiene sabbia e ghiaia. Prima di essere individuato come materiale da costruzione, questo tipo di erba era stata introdotta in Olanda nelle immediate vicinanze dell’areoporto Schiphol di Amsterdam per tenere lontane le anatre e le oche che stavano diventavano troppo pericolose per il decollo e l’atterraggio degli aerei (vedi foto di apertura). Per tale motivo, essendo a base biologica, il calcestruzzo cosi ottenuto è anche un ottimo metodo per catturare e stoccare per un tempo indeterminato, ma comunque nolto lungo, la CO2 dall’atmosfera. Questo è un ottimo argomento commerciale, soprattutto per il fatto che il 5% di tutta la CO2 che finisce nell’atmosfera mondiale attraverso l’attività umana, proviene dall’industria del cemento. Anche il riutilizzo dei materiali da demolizioni comunque non è di poco conto, visto che attualmente vengono smaltiti come rifiuti in discariche autorizzate (quando tutto va bene) a costi sempre più crescenti. Si tratta quindi di un’ottima alternativa, non solo per progettare spazi pubblici più belli e attenti al decoro, ma anche per fare qualcosa immediatamente di concreto (in tutti i sensi) contro il cambiamento climatico e l’impoverimento della terra. Naturalmente però, con il tempo, ogni tipo di infrastruttura in calcestruzzo rischia di diventare fatiscente, ma anche qui c’è già la soluzione copiata dalla Natura.
Il rischio dello sgretolamento, con l’apparizione di crepe e corrosioni diventa sempre più elevato con il passare del tempo. In tutti i paesi occidentali la maggior parte degli edifici, dei ponti, delle strade e dei marciapiedi sono stati realizzati in cemento: è inevitabile che senza un’adeguata e costosissima manutenzione, queste strutture sono destinate a diventare sempre più deboli con il deterioramento, come purtroppo si è scoperto con il tragico crollo del ponte “Morandi” a Genova, avvenuto esattamente quattro anni fa. Il calcestruzzo autorigenerante è una delle risposte più efficaci a questo problema. E’ stato introdotto per la prima volta da Hendrik Jonkers, un microbiologo olandese della Delft Technical University, poi commercializzato con il nome di Basilisk Concrete. Mentre cercava il modo per migliorare la resistenza e la longevità del cemento armato (il calcestruzzo), il ricercatore ha scoperto che l’aggiunta di batteri produttori di calcare nella miscela migliorava significativamente la sua capacità di mantenere la forza nel tempo. Questo batterio naturale è solitamente presente vicino ai vulcani ed è resistente sia al calore che al freddo (quindi utilizzabile in tutte le aree del mondo); Jonkers ha scoperto che l’aggiunta di batteri al materiale da costruzione lo rendeva vivo e gli dava la capacità di ripararsi da solo. I batteri possono rimanere inattivi anche per 200 anni e ridiventano attivi quando tornano a contatto con l’acqua, il che lo fa agire in modo simile al modo in cui le ossa del corpo umano si auto-rigenerano e guariscono dai traumi. La scoperta è stata recentemente aggiornata da altri ricercatori della Rutgers University del New Jersey guidati dal prof. Ning Zhang , che hanno scoperto un nuovo ingrediente che aiuterà a riparare il cemento in modo simile ai batteri produttori di calcare di Jonkers. Il Trichoderma reesei , è una tipo di fungo che può germinare in un’ampia gamma di condizioni e forma un fungo fibroso che favorisce la formazione di carbonato di calcio, avendo roprietà strutturali simili al calcestruzzo. Come funziona? Analogamente al cemento auto-guarigione di Jonkers, l’idea è che le spore del fungo vengano aggiunte alla miscela di cemento dove rimarranno inattive fino a quando il cemento non si spezza e si introduce l’acqua. L’acqua farà germogliare le spore e riempirà le fessure con fibre fungine che andranno a riempire il vuoto innescando la formazione di carbonato di calcio. Zhang e il suo team hanno testato una serie di funghi diversi rivelando comunque che il Trichoderma è l’opzione migliore a causa delle condizioni altamente alcaline promosse dal cemento. L’evidenza suggerisce che se tutto funziona, questa forma di calcestruzzo autorigenerante potrebbe rivelarsi un’alternativa migliore a quelli che fanno uso di batteri o fibre polimeriche contenenti resina (tipo quelle su illustrate). Il motivo è che vari batteri producono lo stesso tipo di materiali, ma producono anche abbondanti quantità di altri sottoprodotti, come i prodotti azotati, inclusa l’ammoniaca. Questi sottoprodotti possono essere dannosi per l’ambiente e le strutture in calcestruzzo esistenti.
Invece il “bio-calcestruzzo” non produce nessun tipo di sottoprodotti nocivi. In sostanza questi funghi “magici” non causano danni all’ambiente o agli esseri umani, mentre il processo di formazione del carbonato di calcio fissa il carbonio dall’atmosfera riducendo i gas serra. Sebbene ci sono ancora dei problemi da risolvere (non è sicuro che le spore possano sopravvivere a lungo se aggiunte al calcestruzzo quando viene miscelato ) questo metodo di autoriparazione riparazione del cemento armato potrebbe anche aiutarci a capire come mai alcune strutture costruite migliaia di anni fa, soprattutto dai romani, sono ancora in piedi e funzionanti, mentre altre strutture (tipo lo stesso ponte “Morandi”) sono crollati dopo pochi decenni. Ne riparleremo.
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