La disponibilità di terra necessaria per “sfamare” gli interessi delle multinazionali agro-alimentari non sarà mai abbastanza, se si continua cosi. Anche prima della pandemia da Covid 19 stava venendo sempre più alla luce il gigantesco processo di mega fusioni che dal 2015 si stanno realizzando a livello globale nei settori delle sementi, dell’agrochimica, dei fertilizzanti, della genetica animale e delle macchine agricole. Questi processi di concentrazione, proprio mentre tutta l’informazione ufficiale si sta dedicando alle vaccinazioni dal coronavirus, ora si stanno estendendo alla trasformazione, alla distribuzione e alla commercializzazione al dettaglio dei prodotti alimentari: cioè proprio in quei settori che sono stati grandemente avvantaggiati dalla pandemia. In pratica si stanno collegando tra loro tutti i nodi dell’immensa filiera agro-alimentare mondiale, ma al solo fine di concentrarla in pochissime mani. Alcuni esempi ci fanno capire meglio di cosa stiamo parlando.
1) La fusione tra produttori di sementi e pesticidi, avviata sei anni fa con un’operazione da 130 miliardi di dollari tra i colossi agrochimici statunitensi Dow e DuPont, ha avuto poi la prima risposta con l’acquisizione dell’americana Monsanto da parte di tedesca Bayer per la bella cifra di 66 miliardi di dollari. Nello stesso tempo c’è stata l’acquisizione della svizzera Syngenta da parte della cinese ChemChina per 43 miliardi di dollari. Quest’ultima si è infine fusa con l’altra cinese Sinochem il 1° aprile di quest’anno, diventando cosi il più grande gruppo industriale al mondo del settore, con entrate annuali previste dai 153 miliardi di dollari in su. Queste operazioni hanno consegnato nelle mani di sole tre società il 70% del mercato dell’industria agro-chimica mondiale .
2) Nel settore dei fertilizzanti c’è stata la fusione tra le due principali società canadesi Potash Corp. e Agrium, mentre altri accordi commerciali hanno portato al controllo di quasi 1/3 del mercato mondiale in mano ad una decina di società.
3) Nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti alimentari, c’è stato il tentativo di acquisto (poi abbandonato) dell’americana Kraft – Heinz nei confronti della più importante concorrente del settore, il colosso britannico-olandese Unilever, che era ed è molto più grande del mancato acquirente. Entrambi i gruppi comunque restano i proprietari di oltre mille dei marchi commerciali più venduti nal mondo. Nel settore comunque è entrata anche l’onnipresente Amazon con l’acquisizione della Whole Foods: una delle catene di supermercati più importanti degli Stati Uniti.
Al riguardo della ristrutturazione orizzontale e verticale dei sistemi alimentari mondiali che si è venuta a creare negli ultimi anni, l’organizzazione internazionale IPES Food (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems), formata da esperti di alto livello provenienti da tutto il mondo, ha fatto due conti in tasca. Di fatto, spiega il rapporto dell’IPES, ormai si è formato un vero e proprio cartello globale, un monopolio di fatto, in barba a tutte le normative anti concentrazione, che ha determinato la seguenti classifiche (completamente sconosciute all’opinione pubblica): le prime 5 società più grandi per fatturato controllano l’84% della produzione agro-chimica mondiale (diserbanti, pesticidi, ecc.) e a loro volta sono tra i primi 10 gruppi che hanno in mano il 73% della produzione di semi per l’alimentazione umana e animale. A queste sono collegate le prime 10 aziende che controllano il 75% della produzione mondiale di fitofarmaci e farmaci per gli animali (soprattutto antibiotici). Dell’allegra compagnia poi fanno parte anche i primi 10 gruppi che controllano il 28% della produzione di fertilizzanti, mentre nel settore della produzione di macchine agricole e dell’informatica applicata all’agricoltura, le prime 10 società controllano il 65% del mercato. Se non basta, si possono aggiungere anche questi due dati: appena 4 società controllano quasi interamente il mercato mondiale delle bevande; nel commercio mondiale delle derrate alimentari e delle materie prime per la produzione di mangimi animali l’appannaggio delle prime 10 società è del 90%.
Il dato ulteriormente preoccupante sta nel fatto che tutte queste aziende messe insieme ormai controllano il 30% delle più grandi aziende agricole esistenti a livello globale, mentre nel mondo ci sono attualmente 570 milioni di aziende agricole. Nel calcolo ci va messo anche il dilagante potere che sta assumendo la tecnologia apllicata e abbianta a questi settori, che permette di avere anche servizi di dati satellitari, fornitura di input, informazioni genomiche a livello di azienda agricola, persino di metro quadrato coltivato, macchinari agricoli senza guidatore e informazioni di mercato (leggi su questo sito: Agricoltura senza agricoltori: l’ultima tappa della follia umana). Uno dei maggiori attori internazionali che stanno cercando di utilizzare i cosiddetti “Big Data”, quelli che si raccolgono soprattutto con i social network, al fine di monitorare e analizzare le abitudini e di acquisto dei consumatori e per rafforzare i sistemi di consegna sia al negozio che on line, guarda caso, è proprio Amazon.
Ma tutte queste concentrazioni non fanno altro che esasperare l’attuale modello agroalimentare industriale: un modello che ha bisogno di eliminare gli alberi per far viaggiare e volare meglio i trattori e gli aerei che spargono pesticidi, di no avere ostacoli quando si annaffiano i campi con giganteschi mezzi di irrigazione, di avere produzioni agricole solo con monocolture (magari OGM). In sostanza queste concentrazioni intendono rafforzare pesantemente lo stesso modello economico-finanziario che ci sta portando il collasso.
In tal senso, il rapporto dell’IPES fa un accostamento interessante: nel settore agroalimentare mondiale sta avvenendo qualcosa di simile a quello già avvenuto nel settore bancario. Che poi, a ben vedere, sono l’uno dipendente dall’altro. Quando scoppiò la crisi di sistema del 2008, tutti i governi nazionali si affrettarono a correre in aiuto delle mega-banche, gonfie e tronfie soprattutto di prodotti finanziari derivati (cioè di attività speculative), con lo slogan “to big, to fail”: troppo grandi per permetterci di farle fallire. Le mega-imprese del settore agroalimentare mondiale, che a loro volta si sono trasformati in veri e propri colossi finanziari, si sono già infilate nello stesso ingranaggio con una amplificazione dei rischi che intendono continuare a mandare avanti a spese della popolazione mondiale, soprattutto quella più debole, e a scapito della sostenibilità dell’ambiente. Ma proprio perchè si sono già dimostrate incapaci di saper nutrire l’intera umanità in modo sostenibile e di generare enormi sprechi, non è detto che queste mega-imprese, per quanto possano diventare grandi, non debbano fallire. Anzi, noi siamo convinti proprio del contrario. Ne riparleremo.
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