In questo periodo di pandemia stanno nascendo in tutto il mondo nuove imprese finanziarie, delle vere e proprie banche, che hanno la sostenibilità come unico obiettivo. Una sostenibilità che in primo luogo deve essere proprio finanziaria per la stessa impresa, cioè che deve creare e scambiare valore aggiunto vero e non attraverso del denaro creato dal nulla; questo valore aggiunto viene poi messo a disposizione di chi lo chiede per finanziare progetti di sostenibilità ambientale e sociale. I finanziamenti vengono stanziati attualmente anche in attesa delle sovvenzioni statali messe a disposizione proprio a causa della pandemia e per il tempo in cui si stima che si dovrebbe normalizzare la situazione economica generale. Per la maggior parte comunque i prestiti riguardano progetti che sono scarsamente o difficilmente “bancabili”. Non si tratta quindi di organizzazioni di beneficenza, ma di vere e proprie iniziative imprenditoriali nel mercato del credito che operano a tutti gli effetti come le banche tradizionali e che invece di far soldi con la speculazione finanziaria in Borsa e con i prodotti derivati sulle materie prime (il vero “tumore” dell’economia globalizzata), puntano a fra prosperare l’economia circolare ed ecosostenibile delle comunità locali. Non si tratta neanche di esperienze del tutto nuove, per la verità; anzi, si può dire che le motivazioni iniziali che hanno determinato l’istituzione delle banche convenzionali attuali erano proprio queste. In Italia, ad esempio, già nel 1488 furono creati i “monti frumentari”, detti anche “monti granatici”, che distribuivano ai contadini poveri l’orzo e il grano occorrente per la semina annuale. Le sementi prestate dovevano essere restituite con il primo raccolto andato a buon fine: quindi a seguito dell’esisto e non di una scadenza predeterminata del prestito. I “clienti” erano soprattutto famiglie costrette dall’indigenza ad usare la riserva per la semina, perché non avevano altro da mangiare, oppure perché erano stati costretti a rivolgersi agli usurai. Era praticamente una sorta di anticipazione di quello che attualmente è il moderno circuito del micro-credito.
Non a caso ad istituire e gestire queste “banche dei semi”, tutt’oggi presenti nella memoria storica delle comunità interessate, erano sempre gli ordini monastici locali: benedettini e francescani in particolare. Il sistema del prestito e della fiducia nella restituzione, in sostanza, è stata (e dovrebbe tornare ad essere) la vera, grande e insostituibile leva sulla quale si è sviluppato l’intero sistema bancario su questo pianeta.
Con lo stesso spirito, sempre in Italia, sono state istituite alla fine dell’Ottocento, le Mutue di Auto-Gestione (MAG), quasi tutte in forma di società cooperativa finanziaria. Si differenziavano dal sistema bancario tradizionale con quella che è poi stata definita “l’obiezione monetaria” e che aveva come obiettivo l’inclusione finanziaria di soggetti non bancabili: operai, poveri e disoccupati. Queste esperienze sono state poi sviluppate dalle banche etiche e di sostegno al commercio equo e solidale, ormai diffuse in tutto il mondo, che si sono ispirate alla “Grameen Bank” fondata nel Bangladesh dal Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus. Il concetto di base da cui è partito il prof. Yunus è molto semplice e dovrebbe essere facilmente comprensibile soprattutto da chi governa le regole del potere, al fine di attuarlo su scala globale (speranza ormai non più vana, ma solo bisognosa di attuazione): l’attuale sistema bancario ha completamente dimenticato il fatto che coloro che hanno più interesse a dimostrare che la fiducia nei loro confronti è stata ben riposta, sono proprio i più poveri: in particolare le donne. Con il riscatto del prestito concesso le persone riscattano anche la loro dignità personale e la fiducia in se stessi. Le banche etiche e solidali oggi hanno il livello più basso nella mancata restituzione dei prestiti, mentre il sistema bancario tradizionale è sostanzialmente fermo, in attesa di poter superare anche questa tremenda crisi: speranza probabilmente a sua volta vana, perché già si sa che i prestiti in sofferenza stanno crescendo di giorno in giorno.
Ora che la pandemia sta mettendo a rischio la sopravvivenza di tantissime imprese, soprattutto medie e piccole, molte organizzazioni no-profit ed altre organizzazioni indipendenti hanno iniziato a raccogliere soldi dai più fortunati (eticamente sensibili) e tra le istituzioni del posto per prestarli e reinvestirli nell’economia locale. Lo scopo dichiarato è di aiutare le comunità ad avere uno sviluppo sostenibile e non di far fare soldi a degli sconosciuti azionisti, magari nascosti da qualche società che ha sede nei paradisi fiscali. La sostenibilità della comunità quindi è il cuore di questo tipo di attività bancaria.
La Robert Owen Community Bank del Galles, che prendiamo ad esempio di questa cronaca, mette le persone e l’ambiente al centro di ogni investimento e non ciò che esce fuori dallo schermo di un computer che probabilmente opera attraverso un algoritmo. Il Community Energy Fund erogato da questa banca in particolare, fornisce il sostegno finanziario a progetti di comunità energetiche che vanno dall’iniziale ipotesi di fattibilità all’istallazione definitiva degli impianti. La sostenibilità finanziaria, malgrado la drastica diminuzione degli incentivi statali, è garantita dai bassi costi di produzione e di trasposto dell’energia prodotta localmente da fonti rinnovabili, soprattutto eolica. Il prestito funziona con il principio “non win no fee”: esattamente come succedeva per i raccolti del grano e dell’orzo a chi aveva ricevuto in prestito i semi. Si restituisce il denaro solo quando la comunità energetica che lo ha chiesto riesce a raccogliere tutto il capitale necessario per le realizzare il progetto. Se questo non avviene, è la banca comunitaria ad assorbire la perdita. I progetti che vanno a buon fine coprono i costi di quelli che falliscono e per questo il prestito si chiama “finanziamento di solidarietà”. Un bell’esempio in un tempo in cui la speculazione finanziaria ha creato gran parte delle emergenze attuali e future e che soprattutto i giovani saranno chiamati a risolvere.