Nutrire tutti gli abitanti del pianeta con le limitate risorse della Terra sarebbe già possibile, se ci fosse una distribuzione oculata e responsabile delle produzioni alimentari. Anche se l’umanità, che ormai conta circa 7,5 miliardi di persone, sta mettendo sotto pressione le risorse e gli ecosistemi del nostro pianeta, siamo ancora in tempo per evitare il disastro planetario, compiendo scelte politiche oculate e veloci. Lo abbiamo documentato con questi due approfondimenti: La terra basta per tutti e C’è già il cibo per sfamare tutti gli abitanti della terra, ma nessuno lo dice. Uno dei principali problemi da superare per raggiungere questo fondamentale traguardo per l’intera umanità, la cosiddetta “fame zero”, è la concentrazione in poche mani, quelle delle grandi corporazioni chimico-alimentari, della proprietà terriera. Una tendenza che si sta sviluppando a livello globale anche e soprattutto con il disboscamento selvaggio delle foreste pluviali da un lato e con la desertificazione dei suoli dall’altro. Il tutto senza considerate l’incremento delle emissioni in atmosfera che stanno alterando il clima. Questa tendenza alla concentrazione delle proprietà infatti sta facendo aumentare a sua volta sia i prezzi di acquisto dei terreni che l’industrializzazione/ingegnerizzazione delle coltivazioni. Oggi quasi il 40% della superficie terrestre risulta coltivata e i le terre disponibili sono ormai diventate a loro volta una risorsa scarsa. Come se non bastasse, i terreni agricoli stanno diventando sempre di più oggetto di speculazioni finanziarie in tutto il globo. Dopo aver provocato la grande crisi del 2008, il mondo della finanza ha scoperto che l’acquisto della terra, soprattutto nei paesi poveri, è un modo sicuro dove “parcheggiare” la montagna di denaro fasullo di cui dispone (fasullo perché fatto soprattutto di derivati). La produzione di cibo poi produce anche altri profitti (la gente deve pur mangiare) con conseguenti vantaggi aggiuntivi attraverso il controllo dei prezzi. In sostanza la tendenza all’accaparramento dei terreni è qualcosa di molto simile, e per questo altamente preoccupante, alla “bolla speculativa immobiliare” che provocò proprio la crisi del 2008.
A soffrire pesantemente di questa ulteriore insostenibilità economica, sociale e ambientale sono soprattutto i piccoli proprietari agricoli che sono costretti ad abbandonare la loro attività quando non riescono più ad ottenerne un reddito. E questo fenomeno sta interessando sempre di più anche i paesi ricchi. In Germania, ad esempio, il numero di piccole aziende con meno di due ettari è passato da 124.000 nel 1990 a sole 20.000 nel 2007, mentre di pari passo è cresciuta la dimensione delle aziende più grandi. La stessa tendenza si è avuta in Italia dove negli ultimi 20 anni sono stati abbandonati circa 5 milioni di ettari mentre le aziende attive sono diminuite di oltre il 32%: stesso discorso in Francia e in tutte le altre nazioni europee dove il settore agricolo ha un’importanza fondamentale per l’intera economia. Da queste basi di insostenibilità sono nate le prime iniziative per proteggere i terreni agricoli per considerarli come beni comuni di importanza primaria e per toglierli da un presunto sistema di mercato, che in realtà nasconde un perverso meccanismo finanziario.
Proprio in Germania dal 2013 sono nate tre cooperative di acquisto collettivo della terra (BioBoden eG, Kulturland eG e Ökonauten eG) che mettono in comune il denaro dei soci per acquistare terreni dal mercato e affittarli a tassi ragionevoli per l’agricoltura biologica. Grazie all’acquisto delle azioni da parte dei soci che ne diventano poi anche gli utilizzatori nel ruolo di produttori e/o consumatori, l’investimento viene poi ripagato in natura con i prodotti agricoli ottenuti. Le cooperative si occupano “ritirare” progressivamente dal mercato i terreni (cioè senza intenzione di rivenderli per ricavarne profitti) per destinarli esclusivamente all’agricoltura biologica. Le dimensioni di queste iniziative comincia ad essere importante: solo la Coop. BioBoden eG, ad esempio, è riuscita fino ad oggi ad acquistare 3.700 ettari di terreni che rischiavano di essere venduti per fini speculativi da piccoli proprietari caduti in difficoltà economiche con le banche (fenomeno che ha interessato
soprattutto la ex Germania dell’Est). Gran parte di questi ettari (circa 2.500) si trovano nella riserva della biosfera Schorfheide-Chorin (Regione del Brandeburgo vicino al confine con la Polonia) ed oggi fanno parte della più grande cintura contigua di agricoltura biologica d’Europa. Anche in Italia sono nati alcuni anni fa i Gruppi di Acquisto dei Terreni (GAT) con il medesimo obiettivo di permettere investimenti virtuosi e “pazienti” (cioè esenti dalla frenesia della speculazione), sempre per favorire l’agricoltura biologica e modelli di produzioni ecocompatibili.
I risultati quindi dimostrano che la concentrazione della proprietà dei terreni agricoli può essere contrastata e sconfitta, ma a patto che i progetti siano sostenibili sia sotto il profilo sociale che quello ambientale. In sostanza si tratta di una soluzione molto innovativa ed efficace per aiutare i piccoli agricoltori ad acquisire e mantenere le loro aziende vive e per l’agricoltura rispettosa della natura.
Vuol dire che difficilmente queste iniziative avrebbero successo per i piccoli proprietari agricoli che intendano realizzare le loro produzioni con semi OGM. Questo infatti è anche un potentissimo messaggio politico che dimostra come il concetto dei Beni Comuni possa diventare realtà per soddisfare in primo luogo gli interessi collettivi e non più quelli personali degli speculatori. L’uso dei terreni agricoli non viene determinato solo da regole per massimizzare il profitto, ma piuttosto dalla necessità di preservare la fertilità del suolo a lungo termine, per produrre prodotti vegetali in consociazione e con un’elevata biodiversità, al fine di nutrire in modo naturale sia gli uomini che gli animali. Allo stesso tempo si deve preservare il paesaggio culturale come luogo e casa di ospitalità per le comunità umane. Quindi, qualcosa di molto più e di molto di più profondo di un bene da acquistare e rivendere prima possibile per momentanei e futili fini economici. Per tale motivo in questo sito continueremo a dedicare molto spazio alle reti e alle organizzazioni della società civile che a livello globale e locale sono operativamente coinvolte nella promozione dell’accesso alla terra e della sua gestione sostenibile.