Per superare con pochi danni l’emergenza climatica in corso, oltre alla riforestazione del pianeta occorre realizzare lo stoccaggio di grandi quantità di energia ottenuta dalle fonti rinnovabili. Questo passaggio, tra l’altro, ci porterebbe direttamente nell’era della democrazia energetica, cioè nella fase in cui saranno i clienti a decidere da quale fonte farsi fornire l’elettricità da usare in casa, al lavoro e nei trasporti e non più le grandi centrali termoelettriche in mano alle lobby del settore che immettono grandi quantità di gas serra e inquinanti in atmosfera. Anche questa, come stiamo dimostrando in questo sito, non è un’utopia, ma una possibilità già a portata di mano. Tutto dipende dalle scelte politiche che verranno effettuate nei prossimi anni e persino nei prossimi mesi. Il fatto di dare la possibilità su vasta scala ai clienti di rinunciare alle fornitura da fonti fossili, determinerebbe automaticamente il fallimento delle società che gestiscono i grandi impianti termoelettrici alimentati a carbone, petrolio, gas e l’uranio. Ed è ovvio che queste lobby non si faranno tagliare fuori tanto facilmente pur continuare ad usare questi combustibili il più a lungo possibile, magari con la scusa del mancato ritorno degli investimenti effettuati e il solito ricatto dei posti di lavoro che andranno persi con la chiusura degli impianti. Anche se, per la verità, nel frattempo ogni “utility” del settore si è creata la propria divisione di sviluppo e produzione da fonti rinnovabili (il “greenwashing” energetico è un rischio che comunque va affrontato), la strada è ormai tracciata e il punto di non ritorno ormai superato. Non si torna indietro anche se centinaia di centrali elettriche nel mondo, in particolare quelle atomiche, risulteranno dei beni incagliati dallo stesso modello insostenibile che hanno contribuito a determinare.
L’ultimo rapporto dell’Institute for Local Self-Reliance (ILSR – un’organizzazione americana che si occupa della resilienza delle comunità locali) ha spiegato dettagliatamente come l’immagazzinamento e lo stoccaggio dell’energia prodotta ad intermittenza dalle fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico in particolare) sta rendendo sempre più competitivi i prezzi dell’elettricità rispetto alle altre fonti. Soprattutto negli stati USA dell’ovest, California e Arizona in testa (ci torneremo qui di seguito), i regolatori del mercato dell’elettricità hanno riscontrato che con lo stoccaggio diffuso nel territorio (quindi non centralizzato) l’energia fotovoltaica è più economica rispetto a quella delle nuove centrali a gas costruite negli ultimi anni. I responsabili politici quindi sono avvertiti: bisogna sfruttare questa opportunità di democrazia energetica, da un lato per far risparmiare denaro a tutti e dall’altro per eliminare la morsa climatica sul pianeta. Occorre in sostanza evitare di autorizzare le richieste delle lobby per continuare a fare cattive scommesse sulle mega centrali elettriche, mentre i loro clienti hanno oggi una scelta molto più desiderabile e competitiva a portata di mano. Esattamente come avvenuto negli ultimi decenni con le centrali nucleari rivelatesi nel tempo pericolose, inquinanti e costose, i cittadini devono sapere che con i loro soldi (mascherati dagli incentivi alle fonti fossili) quali sono le migliori soluzioni possibili per il loro territorio. Decisiva in tal senso sarà la “Carbon Tax” che l’Unione Europea si accinge ad introdurre nella propria legislazione. Non sfugge il fatto che questo scenario ricalca grosso modo quello che sta già avvenendo con le reti di connessione a Internet e la banda larga gestite direttamente dalle comunità locali: esperienze dove sono proprio i clienti ad essere proprietari degli stessi impianti. E non ci vuole molto a capire perché.
Dato che la produzione di energia da fonti pulite, una volta ammortizzati i costi d’investimento, non costa nulla, tanto vale accumularla per utilizzarla anche nelle ore serali e notturne. Questo accumulo, però, fino a pochi anni fa sembrava uno scoglio insormontabile e non attirava gli investimenti necessari. Senonché alcune lungimiranti aziende del settore hanno intuito in tempo lo scenario che si stava profilando. Ad esempio l’azienda italiana Fiamm, specializzata nella fabbricazione di batterie per autoveicoli, da anni ha messo a punto un sistema di accumulo che, al posto del pesantissimo e ingombrante piombo, utilizza dei sali composti da sodio (tipo il sale da cucina) e da nickel (il metallo con cui si fabbricano le nostre monete). Materiali molto meno costosi, meno ingombranti e sicuramente più abbondanti del litio, il materiale con cui si producono le batterie per le auto elettriche e molto altro ancora. Quelle realizzate dalla Fiamm in sostanza sono delle batterie portatili che si possono utilizzare sia in ambito domestico che negli impianti industriali, e sono riciclabili al 100%, assicura l’azienda. Una di queste batterie, grande come un container, l’hanno installata alcuni anni fa su un atollo delle Maldive per fornire elettricità ad un villaggio turistico: il primo energeticamente autosufficiente nell’intero arcipelago. La sua capacità di stoccaggio è di 1,2 megawattora ed è sufficiente per il fabbisogno di circa 400 abitazioni. Da allora praticamente tutto il mondo ci si è interessati a questa tecnologia, viste le enormi potenzialità applicative. Anche il colosso americano TESLA ha così deciso di scendere in campo per la fornitura di sistemi di accumulo domestici (vedi foto qu sotto).
Occorreva però che i decisori politici adottassero le opportune misure.
Ad esempio la California, come accennato, ha stabilito che ad ogni nuovo impianto di energia pulita realizzato si doveva abbinare un sistema di accumulo. Sempre negli Stati Uniti, in collaborazione con la società Xcel Energy, la stessa azienda italiana ha avviato due progetti (che hanno subito superato la fase sperimentale), per dotare con questa tecnologia interi quartieri delle città e singole abitazioni; in quest’ultimo caso le batterie al sale abbinate ad un impianto fotovoltaico hanno reso del tutto indipendenti da qualsiasi altra fornitura i rispettivi abitanti. Persino i francesi di EdF, quelli che per intenderci pensavano di poter vendere ancora le centrali nucleari di terza generazione in tutto il mondo, attraverso una società specifica che si occupa di rinnovabili (Energie Nouvelle) da anni realizza investimenti in questi sistemi di stoccaggio. Una sorta di legge del contrappasso: quelli che volevano rifilare un altro “bidone atomico” alle future generazioni, sono stati costretti a comprarsi la nuova tecnologia pulita.
E come ha dimostrato lo studio americano dell’ILSR a farne le spese, proprio in Italia, dove il nucleare è stato cancellato per ben due volte dai cittadini, sono state soprattutto le centrali a ciclo combinato, le turbogas appena costruite da un’importante azienda energetica italiana (Sorgenia), a rivelarsi un gigantesco flop: l’azienda, a causa dei troppi debiti accumulati, è stata poi rilevata proprio dal pool di banche che ne avevano finanziato la costruzione. Anche le associazioni dei produttori e dei venditori di elettricità (i cosiddetti trader), sono poi insorte contro il distributore italiano di energia (TERNA) che a sua volta aveva messo in campo dei sistemi di accumulo. Queste associazioni hanno sostenuto che lo stoccaggio di energia si configura come un vero proprio sistema di produzione e pertanto era ed è solo di loro competenza (che però non avevano intenzione di attuare): con lo stoccaggio dell’energia pulita TERNA avrebbe fatto la parte di un concorrente improprio con costi di installazione elevati e a carico degli utenti. Ma grazie anche alle batterie al sale che trattengono l’energia prodotta dal sole, la società ha tirato dritto per la sua strada ed ha continuato a investire nell’accumulo di energia pulita. Il definitivo sorpasso delle rinnovabili a favore del pianeta e degli utenti quindi non soloi è a portata di mano, ma è già realtà. Bisogna stare attenti però alle lobby e a quali decisioni prenderanno i politici.
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