Ogni anno in Italia, ma lo stesso discorso vale per ogni nazione industrializzata del pianeta, in media 250 mila persone ricevono una diagnosi legata ad una malattia oncologica, un tumore. Nella maggior parte dei casi l’insorgenza della malattia è legata a cause ambientali, alimentari e stili di vita sbagliati. Queste persone devono cosi affrontare analisi, ricoveri, trattamenti e riabilitazioni (ovviamente, solo in caso di successo terapeutico). In questo paese studi analoghi non ne sono mai stati fatti, ma negli Stati Uniti, ad esempio, circa quindici anni fa è stato calcolato che i costi totali dovuti ai tumori sono di oltre 200 miliardi di dollari l’anno (di cui 74 per costi diretti). Il dato aggiornato al momento non è disponibile (lo stiamo rielaborando), ma è facile immaginare che questo costo sia nel frattempo aumentato di molto. Approssimando comunque questi dati anche a quelli degli altri paesi europei dove sono stati condotti studi del genere, anche se con una definizione più generica, possiamo stimare che un cocktail completo di farmaci chemioterapici non costi meno di 500 euro a fiala. Di conseguenza la media di ogni intervento terapeutico è di circa 5 mila euro per persona, ma nei casi di estrema gravità si può arrivare facilmente a circa 50 mila euro al mese. Vuol dire che il Servizio Sanitario Nazionale italiano, benché non ci siano dati ufficiali, solo per i farmaci chemioterapici e solo per le nuove diagnosi, deve sborsare oltre 1 miliardo di euro all’anno. Può sembrare una cifra insignificante rispetto agli oltre 116,7 miliardi (aumentata di oltre il 20% rispetto a 15 anni fa) che sono stati spesi coplessivamente nel 2019 per garantire le cure ai cittadini. Ma questo dato è comunque inaccettabile per un paese che oltre quaranta anni fa ha riformato completamente il Servizio Sanitario Nazionale con una legge (la 883 del 1978) tutta incentrata sul concetto di prevenzione. Oggi quel concetto è stato completamente ribaltato ed è questo il vero problema.
Basti pensare che nel Lazio, la Regione italiana con il più alto deficit sanitario (a proposito di sprechi), pur essendoci una popolazione di circa 6 milioni di persone, ogni anno si realizzano in media 90 milioni di prestazioni diagnostiche e riabilitative (analisi del sangue, lastre, visite specialistiche, sedute fisioterapeutiche, ecc.); in media una prestazione ogni tre settimane per ogni residente. Anche per una puntura di un insetto vengono prescitti accertamenti diagnostici che poi comunque sono a carico dello Stato. Il concetto di sanità in questo paese è stato spostato sulle cure sanitarie, con un abbandono totale delle competenze, delle professionalità di base e della prevenzione generale: si aspetta che le persone si ammalino e poi, con costi sempre più crescenti, si cerca di fare qualcosa. L’esperienza del Covid 19 ha di nuovo confermato questa scellerata impostazione. Tutto il resto è stato messo nel dimenticatoio, ma i numeri sono ancora lì a dimostrarci come stanno veramente le cose.
Ogni anno in Italia si immettono nell’atmosfera circa 500 milioni di tonnellate gas serra equiparati all’andidride carbonica. Come sappiamo ciò dipende dall’uso di combustibili fossili (petrolio, carbone e gas) per i quali i cittadini italiani sono anche costretti a spendere circa 65 miliardi di euro l’anno (cifra destinata inesorabilmente ad aumentare) per acquistarli soprattutto dall’estero. Ventinticinque anni fa, a consumi e valute equivalenti ad oggi, tale spesa era di circa 20 miliardi di euro. Appena 10 anni fa questa spesa era di 40 miliardi, mentre con l’attuale sistema di approvvigionamento energetico abbiamo sostanzialmente sostituito il petrolio e il carbone (solo in parte) con il gas. Allora come ora, oltre la metà di questa spesa annuale se ne va per produrre energia elettrica con grandi impianti termoelettrici ed i residui di queste produzioni li respirano i cittadini residenti nelle vicinanze degli impianti e nelle città sempre più inquinate dal traffico. Di fatto però, per le nostre tasche, queste cifre triplicano se si tiene conto del fatto che anche tutti i servizi pubblici, dalle scuole agli ospedali, dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti, sono interessati da questo modello energetico di spreco. Possiamo stimare che ogni anno le famiglie italiane devono tirar fuori di tasca loro non meno di 150-200 miliardi di euro per i nostri attuali approvigionamenti energetici complessivi. In particolare questa filosofia dello spreco a tutti i costi (nel vero senso della parola), che malgrado tutto continua ad andare avanti nella totale indifferenza della politica, costringe gli italiani a spendere in combustibili ed energia elettrica ulteriori 7 miliardi di euro l’anno per il mancato risparmio energetico. Di questa cifra quasi la metà, è dovuta alla mancata coibentazione delle case e degli edifici, circa un quarto all’eccesso di offerta di trasporto privato su gomma e il resto è lo spreco che si realizza nel settore dei servizi. Tutti soldi che continuano ad essere buttati dalla finestra, mentre potrebbero essere destinati alla prevenzione sanitaria e alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Già nel 1976 il biologo ed economista americano Barry Commoner aveva dimostrato che con il costo di un posto di lavoro nelle centrali termoelettriche se ne producono 100 con le energie rinnovabili. Solo ora, forse, ci si sta rendendo conto che questa era ed è l’unica vera strada percorribile per dare un futuro ai nostri giovani. Ci aiuterà il Covid 19, vedendo l’immagine dal satellite dell’Italia prima e dopo dell’inizo della pandemia (è la foto che si vede in apertura di questo articolo) ad acquisire definitivamente questa necessaria consapevolezza?