Il fatto che con le guerre si facciano ottimi affari è risaputo, ma poco documentato. Non è del tutto conveniente far sapere ai potenziali consumatori che il pesticida più usato al mondo piuttosto che un determinato modello di automobile, hanno avuto origine proprio nelle attuali grandi Corporation che sono diventate tali grazie alle guerre. Non a caso molte di queste si sono rifiutate di aderire alle misure di embargo nei confronti della Russia per la brutale aggressione all’Ucraina. In realtà è una prassi di lunga durata.
Tra gli storici è diffusa la convinzione che la prima guerra mondiale fu vinta dalle forze alleate grazie all’introduzione di nuove tecnologie belliche. La più importante fu senz’altro quella di un particolare carro armato che era stata sviluppata da un imprenditore francese proprio in quegli anni: si trattava di Luois Renault, il fondatore dell’omonima casa automobilistica che all’epoca ebbe un enorme impulso produttivo dal governo francese grazie alle commesse belliche. Un’altra tecnologia innovativa utilizzata in quel primo conflitto mondiale furono le bombe chimimiche a base di iprite (o iperite), conosciuto anche come “gas mostarda” a causa del suo odore. E’ una sostanza che agisce nel giro di poche ore per inalazione e contatto e che provoca una delle morti più atroci che possa colpire un essere vivente. Per questo era stata bandita dall’uso in combattimento quando il conflitto era ancora in corso ma poi un pò tutte le nazioni continuarono a produrla in forma non ufficiale: gli italiani, ad esempio, la usarano nel 1936 durante nella guerra di occupazione dell’Etiopia. Gran parte dei pesticidi che ancora oggi si usano in agricoltura per abbattere le popolazioni degli insetti dannosi derivano da quella prima applicazione bellica. E sempre l’agricoltura è stato poi lo sbocco di utilizzazione di un’altra potentissima tecnologia: la nitroglicerina che serviva a costruire l’esplosivo per le bombe, ma che poi è stata riciclata come fertilizzante agricolo. La devastante esplosione avvenuta nel porto di Beirut due anni fa è stata causata ufficialmente proprio da un fertilizzante, il nitrato d’ammonio, deivato dalla stessa formula chimica iniziale. La situazione poi è nettamente “migliorata” per gli affaristi guerrafondai con l’avvento dei regimi dittatoriali in Italia, in Germania e in Spagna. Nonostante le rispettive nazioni fossero ufficialmente nemiche e in guerra tra loro, le relazioni tra gruppi imprenditoriali americani e tedeschi erano già andate molto bene durante quella iniziale “grande guerra” e si rafforzarono ancora di più nel periodo precedente, durante e persino dopo la seconda guerra mondiale. Ancora oggi questo sconosciuto (meglio dire “occultato”) aspetto della grande più grande infamia che riguarda il genere umano si regge in piedi attraverso una considerazione ridicola; le rispettive case madri di queste Corporation, sia negli USA che in Germania, non sapevano e non potevano controllare all’epoca cosa stessero combinando, che tipo di affari e con chi li stavano intrattenendo le rispettive succursali. A presidiare l’inganno ovviamente c’era la finanza.
La guerra non era del tutto conclusa e i forni crematori erano ancora caldi quando la Chase National Bank dei Rockefeller (socia fondatrice della Federal Reserve – la banca centrale degli USA), venne rinviata a giudizio per avere violato l’embargo sulla conversione dei marchi tedeschi in dollari americani. La cosa era andata avanti per tutta la durata del conflitto ed era servita al regime nazista per acquistare materie prime per usi bellici che altrimenti non avrebbe potuto comprare. Di mezzo c’era anche Prescott Bush, padre di George e nonno di George W. in quanto suo suocero era tra i più grandi finanziatori di Adolf Hitler negli USA. Bert Walker (il suocero) era presidente della Union Banking, nata dagli interessi congiunti con Fritz Thyssen, il magnate dell’acciaio che si iscrisse al partito nazionalsocialista nel 1931. Quest’ultimo ha tranquillamente ammesso nella sua autobiografia di avere aiutato Hitler fin dal 1928 quando acquistò palazzo Barlow a Monaco, che poi diventò il primo quartier generale dei nazisti. Queste le sue testuali parole: “Fu durante gli ultimi anni precedenti alla ascensione al potere dei nazisti, che le grandi società industriali cominciarono a dare i loro contributi. In tutto, le somme date ai nazisti dall’industria pesante, possono stimarsi in due milioni di marchi all’anno”. Le cronache dicono che in seguito egli entrò in disaccordo con il regime nazista, il quale durante la guerra ne requisì l’intero patrimonio economico. Il signor Fritz Thyssen, spalleggiato dai suoi fedeli soci americani, è stato anche il primo presidente della “Verinigte Stahlwerke” il colosso dell’acciaio e del ferro, nato nel 1926 durante la Repubblica di Weimar a causa del crollo dei prezzi e dell’eccesso di produzione delle industrie tedesche del settore. Una sovraccapacità determinatasi in gran parte dopo la fine della prima guerra mondiale. Nel 1999 la Thyssen Ag si è fusa con l’altro colosso tedesco dell’acciaio, appartenente alla famiglia discendente da Friedrich Krupp, specializzata nella produzione di munizioni ed armi, dando così vita all’attuale Thyssen-Krupp.
Durante la prima guerra mondiale la Krupp aveva venduto cannoni sia alla Triplice Intesa (Impero britannico, Terza Repubblica francese e Impero russo) che alle Potenze Centrali (Germania, Impero Austro-Ungarico, Impero Ottomano e Regno di Bulgaria). Oggi Wikipedia ci dice che già nel 1933, dopo che Hitler aveva preso il potere, “la Krupp divenne il centro del riarmo tedesco”. Non poteva essere altrimenti visto che pure lui ne aveva finanziato massicciamente la campagna elettorale. Per ordine dello stesso dittatore poi, nel 1943, il gruppo fu trasformato in una holding familiare divenendo il complesso industriale più grande d’Europa. Alle sue dipendenze, proprio durante la seconda guerra mondiale, lavoravano duecentocinquantamila persone: gran parte erano schiavi affittati dalle SS al prezzo di 4 marchi al giorno. L’erede della dinastia, Alfried Krupp, soprannominato l’ultimo “re dei cannoni”, fu processato e condannato a 12 anni di carcere (con l’obbligo della vendita del 75% dei suoi averi) per l’uso del lavoro schiavistico nelle sue fabbriche durante il conflitto. Nel 1951, cioè neanche tre anni dopo la condanna, fu rilasciato e riprese il controllo dell’azienda perché “nessun acquirente si era fatto avanti”. A suo nonno Gustav era andata ancor meglio dopo la prima guerra mondiale: l’armadio di famiglia, pare di immaginare, era rimasto sempre ben fornito di scheletri.
L’impero dell’acciaio e delle armi finì poi in mano alle banche che nel frattempo avevano anche preso il controllo dello storico rivale (lo stesso gruppo Thyssen); a guidare quest’altra scalata fu la Chase Manhattan Bank (attuale JP Morgan Chase – la più grande banca d’affari americana) di cui divenne poi presidente un certo David Rockefeller. A questi invisibili interessi economici dobbiamo il fatto che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, nello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino una squadra di operai che era già alla quarta ora di straordinario rispetto al proprio turno di servizio, tentò di spegnere un principio d’incendio. La fabbrica era in fase di dismissione perché la proprietà aveva deciso di trasferire tutta l’attività nello stabilimento di Terni e per tale motivo erano stati ridotti notevolmente il livello di sicurezza e la manutenzione degli impianti. Una vasca di olio bollente, che normalmente veniva utilizzato per il raffreddamento dei laminati aveva preso fuoco. Mentre Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi stavano cercando di domare l’incendio con gli estintori e con gli idranti, furono investiti da enorme fiammata. Era stata causata dallo scoppio di una tubatura dove circolava olio ad alta pressione; l’olio si nebulizzò istantaneamente nell’ambiente di lavoro e per gli operai fu l’inferno: quello vero. In tempi diversi morirono tutti a causa delle ustioni riportate. Il “gas mostarda” in cofronto era acqua fresca.
E cosa dire di Henry Ford, il padre, per l’appunto, del fordismo e delle catene di montaggio? A parte il fatto che un suo ritratto stava perennemente appeso nel quartier generale di Hitler, fu l’unico straniero a ricevere la più alta onorificenza della Germania nazista. Per quale motivo? Semplice: sotto copertura, attraverso la Ford–Werke, forniva materiale bellico alla Wehrmacht e procurava materie prime all’esercito nazista, essendo tale azienda una compagnia solo nominalmente americana. Del signor Ford, altro ex pacifista all’inizio della prima guerra mondiale, occorre anche ricordare che fu un leggendario antisemita. E’ stato il più famoso sostenitore all’estero di Hitler. Per il suo 75° compleanno, nel 1938, lo stesso Ford ha ricevuto la medaglia della croce nazista, pensata solo per “gli stranieri illustri”. Visto che i suoi stabilimenti in Germania, producevano lauti profitti, pensò di continuare a farli anche durante la guerra con entrambi i contendenti. Infatti produceva veicoli sia per i nazisti (marchio Opel) che per gli alleati (marchio Ford): nel primo caso utilizzava prigionieri di guerra schiavizzati, nel secondo non si sa. Che i capitalisti americani stessero costruendo la macchina bellica nazista era fin troppo chiaro fin dall’inizio della dittatura. Lo ha dimostrato William Dodd, ambasciatore USA in Germania, che in una accorata lettera scrisse al Presidente Roosevelt: “Oltre un centinaio di Corporation americane hanno qui in Germania delle agenzie oppure delle cooperazioni.” L’ambasciatore precisò cosa intendeva dire: la DuPont, l’azienda che aveva prodotto il 40% degli esplosivi totali utilizzati nella prima guerra mondiale (anche in quel caso usate da entrambe le parti in conflitto) stava facendo di nuovo lucrosi affari con i nazisti nel settore degli armamenti; la Standard Oil (la proprietaria della pensilina dove fu appeso da morto Benito Mussolini a Piazzale Loreto – Milano) aveva fatto arrivare 2 milioni di dollari nel dicembre del 1933 in Germania. La più grande di quelle che poi divennero le “sette sorelle” petrolifere guadagnò 500mila dollari all’anno con la produzione del cosiddetto ersatz (un sostitutivo della benzina), ottenuto dall’idrogenazione del carbone. Sarà poi questo il combustibile (la famosa gasolina) ad essere impiegato durante tutta la guerra dall’esercito tedesco. La lettera dell’ambasciatore terminava con l’accusa alla General Motors e alla stessa Ford di continuare a fare enormi affari tramite le loro agenzie in Germania. Lapidaria e profetica fu la conclusione dell’ambasciatore: “Scrivo tutto questo in quanto complicano le cose e si aggiungono rischi di causare una guerra.” Infatti guerra fu, perché era esattamente questo l’affare che si stava allestendo.
Non era fondamentale solo la benzina per il Führer: anche la gomma aveva la sua enorme importanza per le politiche di espansione naziste e per l’imponente macchina bellica nazista che faceva capo al cartello petrolchimico della IG Farben: colosso che aveva la Bayer tra i suoi soci costitutivi e che negli anni scorsi ha acquistato l’americana Monsanto, produttrice dell’agente “Orange” usato massicciamente nella guerra in Vietnam e poi convertito come essiccannte usato a sua volta in agricoltura (il glifosato) e divenuto in poco tempo il pesticida più usato al mondo e dal quale deriva la filosofia degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM). All’epoca i protocolli di intesa prevedevano che la Stardard Oil dei Rockefeller passasse al partner tedesco tutti i brevetti e le conoscenze per la realizzazione di una nuova plastica chiamata “Butile” (progenitore delle plastiche che poi avrebbero invaso il mondo), la cui produzione venne predisposta stabilimento di Buna, cioè ad Auschwitz. Primo Levi, il noto scrittore italiano,lavorò proprio nella fabbrica di Buna. Dobbiamo sapere qualcosa di più su questa particolare fabbrica che nessuno mai si sognò di bombardare e che neppure era conosciuta quando il 27 gennaio 1945 vi fece ingresso l’esercito dell’Unione Sovietica. Tratto dal libro “Se questo è un uomo”: “La Buna è grande come una città; vi lavorano oltre ai dirigenti e ai tecnici tedeschi, 40.000 stranieri, e vi si parlano 15 o 20 lingue. Tutti gli stranieri abitano in vari Lager che alla Buna fanno corona: il Lager dei prigionieri di guerra inglesi, il Lager delle donne ucraine, il Lager dei francesi volontari, e altri che non conosciamo. Il nostro Lager fornisce da solo 10.000 lavoratori che vengono da tutte le Nazioni d’Europa”. Nessuno ha mai approfondito cosa significavano tali numeri, e questa era solo una parte dell’attività di una fabbrica dove venivano prodotte e sperimentate altre armi di distruzione di massa.
Torniamo però alla gomma, che al tempo era fondamentale per la produzione di ogni tipo di pneumatico e senza i quali non vi erano spostamenti. Il 27 giugno 1942 il Presidente degli Stati Uniti, F.D. Roosevelt, parlò alla nazione, e rivolse al popolo americano l’urgente appello di consegnare presso le 40.000 stazioni di servizio del paese tutti gli oggetti in gomma disponibili, compresi i copertoni usati e i giocattoli dei bambini. Con lo scoppio della guerra, sei mesi prima, gli Stati Uniti erano stati completamente tagliati fuori dalla fornitura di gomma naturale dai paesi dell’Estremo Oriente; in quell’anno gli americani disponevano di una produzione propria di appena 8.400 tonnellate/anno, a fronte di un consumo di 600.000 t/a in tempo di pace e di un milione di t/a nelle condizioni critiche di un conflitto. L’appello venne pronunciato in un momento molto delicato: nell’Africa del Nord le truppe dell’Asse avanzavano verso Il Cairo, in Russia un gruppo di armate tedesche marciava verso i pozzi petroliferi del Caucaso, in estremo Oriente i giapponesi, dopo la catastrofe della flotta americana a Pearl Harbour, avevano occupato tutti i territori da cui proveniva l’approvvigionamento di gomma naturale, unica fonte a quell’epoca di questo necessario elastomero. Gli accordi de L’Aja sottoscritti tra IG Farben e Standard Oil non prevedevano l’uso dei brevetti (ne furono depositati circa 2000 in quegli anni) da parte della compagnia americana, se non dietro pagamento. Nel ’42 fu quindi annunciata da parte del Justice Department americano l’intenzione di denunciare la Standard Oil per violazione dell’embargo imposto dalla guerra. La commissione del Senato americano appositamente istituita concluse che la carenza di gomma sintetica durante il periodo bellico era da imputarsi agli accordi tra le due multinazionali e che la Standard Oil con il suo comportamento aveva danneggiato lo sviluppo della gomma sintetica negli USA, accusa poi lasciata cadere nel nulla.
Concludendo: una parte importante delle più grosse industrie americane aveva volontariamente spostato ingenti capitali, tecnologie e know-how in Germania per finanziare il nazismo. Da questa nazione, attraverso l’Olanda, enormi flussi di capitale facevano il viaggio inverso. Si trattò nel suo complesso di un piano di industrializzazione forzato che aveva come principale protagonista l’immancabile IG Farben. Gli esempi di sfruttamento dei lavoratori forzati da parte delle multinazionali attuali comunque non sono finiti. Ne riparleremo presto con un ulteriore approfondimento su questo sito.
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