La guerra in corso tra Russia e Ukraina ha già prodotto l’effetto di far aumentare i prezzi, con il relativo ritorno di una inflazione fuori controllo. Ogni volta che questo succede c’è un’altro effetto che viene dato per scontato: l’aumento della disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Nell’economia predatoria delle risorse naturali e delle risorse umane che ancora impera su questo pianeta e che proprio da questa guerra ha ricevuto un nuovo impulso a causa della competizione sui combustibili fossili (con buona pace per i cambiamenti climatici), si continua ad affrontare questi fenomeni con delle cure che non fanno altro che aggravare il problema. Attraverso una politica monetaria, ormai data in gestione quasi esclusivamente alle banche centrali, che prevede l’innalzamento dei tassi di interessi bancari e una leva fiscale che i governi nazionali azionano in conseguenza di questa politica monetaria, si tende a mantenere bassa l’inflazione, con conseguente raffreddamento dell’economia e perdita di posti di lavoro. Questo avviene anche allo scopo di continuare a realizzare eccedenze fiscali per finanziare il debito pubblico nella speranza che prima o poi i mercati riprendano il loro corso normale negli scambi di merci e servizi: di conseguenza si ritiene che anche l’occupazione dovrebbe tornare a salire. Questa supposizione era già abbondantemente fallita nei periodi normali e lo sarà ancora di più nel prossimo futuro a causa del fatto oggi i mercati interni e internazionali sono quasi del tutto deregolamentati e dove il costo del lavoro (ovvero dello sfruttamento degli esseri umani e della Natura) è ancora il principale, se non l’unico, fattore di competizione. Di conseguenza tutte le misure di incentivazione e di stimolo dell’economia adottate a livello mondiale a causa della pandemia da Covid 19 rischiano di formare l’ennesimo “buco nell’acqua”, con soldi pubblici utilizzati per socializzare le perdite e continuare a privatizzare i profitti.
L’occasione comunque è opportura per capire che anche questi programmi economici di incentivi, cosi come avvenuto in passato (vedi il programma “Next Generation 2.0 dell’Unione Europea), in realtà non sono stati concepiti per creare nuovi posti di lavoro, ma semplicemente per tenere in vita questa economia predatoria ormai moribonda e responsabile di cosi tanta disoccupazione e sottoccupazione a livello globale: il rapporto tra posti vacanti e disoccupati è in continua crescita in tutto il mondo da decenni. E già che ci siamo, daremo un’occhiata anche a quei “servizi per il lavoro” fatti di agenzie, uffici per l’impiego e somministratori vari, tutti molto costosi e allo stato attuale perfettamente inutili, che dovrebbero aiutare le persone a trovare un lavoro e che in realtà servono solo a tenere in piedi se stessi. In coerenza con quanto sostiene da sempre questo sito (non è il lavoro che manca ma la possibilità di remunerarlo) dimostreremo quindi che la disoccupazione e la sottoccupazione, sia a livello locale che a livello globale, costano molto di più rispetto alla piena occupazione delle persone che si trovano in età lavorativa. Infatti, per portare il numero dei disoccupati ad un livello fisiologico (circa il 4%) occorre per prima cosa capovolgere l’impostazione politica dell’intera questione: l’assenza di lavoro e della relativa retribuzione deve diventare un problema collettivo piuttosto che individuale. Di conseguenza, come secondo elemento di valutazione, si deve affrontare la questione dal lato della domanda e non più da quello di una generica offerta di posti di lavoro. Ne consegue a sua volta un terzo fattore, che sembra quasi una banalità nel ragionamento complessivo sul tema, e riguarda il fatto che la disoccupazione non ha alcun mercato: soprattutto i giovani non trovano lavoro per il semplice fatto che i disoccupati hanno un’offerta zero nel mercato del lavoro.
Come quarto elemento di valutazione si prendono qui in considerazione solo gli aspetti fiscali (quanto entra ed esce dalle casse di un ipotetico Stato) e le potenzialità occupazionali dirette, tralasciando tutti quei costi che le amministrazioni pubbliche devono comunque affrontare ordinariamente per far fronte alla disoccupazione diffusa (questioni assistenziali, nutrizionali e socio-sanitarie, in particolare). Per potenzialità occupazionali dirette ci rifertiamo in particolare ai disastri ambientali che in numero sempre maggiore si stanno determinando a livello locale e globale a causa dell’assenza di manutenzione e prevenzione dei rischi dei territori più delicati (difesa coste, inondazioni di aree golenali dei fiumi, incendi boschivi e forestali, ecc.). Questi costi e la loro potenziale eliminazione in favore di quella “retribuzione universale di base” indicata da Papa Francesco due anni fa, sono l’oggetto degli articoli indicati in fondo a questa pagina.
Insistiamo sul fatto che si deve trattare di una vera e propria retribuzione, intesa come un minimo ma comunque giusto compenso per un’attività svolta in favore della comunità e non di una generica forma di reddito passivo, che non genera automaticamente questa forma di rapporto. Questo perchè solo la retribuzione può creare una serie di effetti moltiplicativi di carattere fiscale, di potere d’acquisto, di sicurezza sociale, di acquisizione di competenze e manualità e di autostima per le persone interessate. Come fare? Intanto creando un apposito fondo nel proprio bilancio, l’ipotetico Stato di fatto “acquista” la forza lavoro disponibile entro un livello fisiologico di disoccupazione: fatto 100 il numero delle persone in età lavorativa, il 10% il numero dei disoccupati totali (quindi 10 unità) e considerato il livello fisiologico di disoccupazione al 4% (4 unità) questo fondo dovrà pagare la retribuzione universale di base a 6 persone. Creato il fondo, valutiamo quanto verrebbero a costare questi nuovi posti di lavoro e poi vediamo anche con quali soldi lo si alimenta .
In quasi tutti i paesi ad economia avanzata del mondo esistono per ogni categoria e livello professionale i contratti collettivi nazionali che vengono adeguati periodicamente d’intesa tra le forze datoriali e i sindacati. Il fondo per la retribuzione universale di base non può e non deve competere con i prezzi di mercato della forza lavoro perché questo andrebbe ad alterare la struttura salariale del settore privato. Di conseguenza occorrerà stabilire a livello politico una percentuale di riduzione (tipo il 20%) della retribuzione universale di base rispetto al livello salariale minimo previsto dai rispettivi contratti collettivi nazionali. La retribuzione quindi dovrà garantire una qualità di vita accettabile per ogni interessato che poi potrà “scalare” il suo livello salariale nel mercato ordinario del lavoro. Stimiamo poi che ognuno dei 6 nuovi posti di lavoro, comporterà dei costi aggluntivi del 35% (pensione, trattamento di fine rapporto, capitale di finanziamento, ecc.) in conseguenza dei quali il rapporto tra salario e oneri sarà di 65/35: in sostanza, ogni tre euro di costo, due andranno alla retribuzione netta e uno ai contributi. Questo rapporto è ottimale per tutti quei lavori, tipo le manutenzioni del territorio e la prevenzione dei rischi, che richiedono da un lato una scarsa intensità di capitale e di energia e dall’altro una alta intensità di lavoro: sono proprio le condizioni di inserimento lavorativo delle fasce di popolazione disoccupata che non dispongono di livelli medio – alti di qualificazione. E vediamo infine dove prendiamo i soldi.
Una volta ottenuta la retribuzione universale di base ogni interessato non avrà più bisogno dei sussidi statali di disoccupazione e dell’inutile assistenza fornita dai “servizi per il lavoro”. Tra questi ultimi ci sono corsi di formazione che formano professionalità non richieste dal mercato, centri professionali per il primo impiego, centri di orientamento al lavoro, sviluppatori di imprese che però non hanno un luogo fisico dove insediarsi, consulenze per il reperimento di finanziamenti e, soprattutto, agenzie di somministrazione di lavoro interinale: eliminando questi servizi inutili possiamo stimare un risparmio del 25 – 30% da mettere a disposizione del fondo. In particolare per quanto riguarda il lavoro interinale (è capitato personalmente all’autore di questo articolo per la fornitura di addetti all’igene urbana nella città di residenza) in molti casi il costo complessivo è maggiore rispetto all’assunzione diretta. A questa percentuale si deve aggiungere un altro 15-20% relavivo all’aumento delle entrate fiscali sui salari e all’aumento delle imposte dirette e indirette. La maggior parte dei soldi per alimentare il fondo comunque proverranno dai mancati costi sui disastri che ogni volta si determinano a causa dell’assenza degli interventi di manutenzione e di prevenzione dei rischi: tutte le analisi del settore considerano questi costi il maggiore fattore di aumento della spesa pubblica globale nei prossimi anni. Nell’epoca dei cambiamenti climatici indotti dal consumo dei combustibili fossili, che a loro volta vengono alimentati dalle guerre, questa assenza rappresenta l’altra parte più importante di quel vero e proprio “furto di futuro” perpretato in danno delle nuove generazioni.
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