Ormai lo sanno anche i sassi che ogni guerra è in primo luogo un gigantesco affare economico. Anche quella in corso tra Russia e Ucraina, non sfugge a questa implacabile logica millenaria. Nei governi di ogni epoca e di ogni nazione l’influenza dell’apparato militare e industriale ha sempre avuto un peso e un’influenza preponderante, anche se quasi sempre ingiustificata per il progresso delle comunità. Questa è la principale causa dell’ascesa al potere di regimi idioti che, in ultima analisi, non devono far altro che scatenare nuove guerre, assecondando le aspettative di questi apparati. Ma gli affari delle guerre moderne, al contrario di quanto si possa pensare, non si fanno più solo con le distruzioni di massa e le ricostruzioni finanziate dai vincitori, l’uso degli arsenali militari che poi devono essere ripristinati, gli sfollamenti di decine di migliaia di persone dai loro luoghi di origine che cosi diventano territori di occupazione militare, l’esproprio forzato dei beni e delle risorse naturali dei luoghi occupati con la forza e la violenza, la cancellazione della dignità delle popolazioni sottomesse e le altre infamie che ogni conflitto armato si porta appresso. Questi, per cosi dire, sono solo gli affari che si realizzano “a valle” dello scoppio di una guerra. Oggi i migliori affari, quelli più sicuri perché già programmati “a monte”, si fanno soprattutto in due modi: 1) con i debiti finanziari che ogni nazione in conflitto contrae con le banche, i produttori e fornitori dei mezzi e delle risorse necessarie a sostenere lo sforzo bellico;
2) con il controllo delle operazioni di guerra (soprattutto i bombardamenti) attraverso le quali il regime idiota di turno, che nel frattempo è stato aiutato a salire e/o permanere al potere, deve comunque attuare. Sono queste che leggete solo delle indimostrabili supposizioni di pacifisti frustrati? Forse. Ma, prendendo appunti sui vari oligarchi russi (e anche ucraini) che man mano si aggiungono alla lista di chi otterrà enormi guadagni dalla guerra in corso nel centro dell’Europa (tra due nazioni appartenenti all’ex blocco sovietico, che parlano sostanzialmente la stessa lingua e che oggi sono votate all’economia di mercato – occorre precisare), non possiamo perderci il consueto rinfresco della memoria, che è d’obbligo negli approfondimenti su questo sito, visto anche il loro frequente riferimento a Adolf Hitler per accusare l’avversario di commettere le stesse atrocità nella guerra in corso. Riferimenti puramente propagandistici per impressionare i propri connazionali.
E’ impossibile immaginare che qualcuno possa aver stipulato una polizza assicurativa sui campi di concentramento nazisti prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, non è vero? Cioè sul fatto che se qualcuno avesse bombardato quei campi di concentramento dove milioni persone venivano usati come schiavi (quando andava bene) mentre altri milioni di esseri umani venivano sterminati nelle camere a gas (quando andava male), un’assicurazione ne avrebbe dovuto pagare i danni. Per quanto assurdo possa essere solo immaginarlo, questo è proprio quello che è successo. Lo ha documentato con dettagli agghiaccianti il libro “The Crime and Punishment of I.G. Farben”, pubblicato negli USA nel 1978. L’autore, Joseph Borkin, tra il 1938 e il 1946 era stato il capo della sezione brevetti e collegamenti societari della Divisione Antitrust del Dipartimento di Giustizia del governo americano e poi docente presso la Catholic University Law School. La I.G. Farben era un conglomerato di industrie creato in Germania nel 1925, ed è stato il colosso economico, industriale e finanziario tedesco che aveva sostenuto prima l’ascesa al potere di uno sconosciuto Adolf Hitler e poi della sua insana idea di scatenare la seconda guerra mondiale e lo sterminio degli ebrei. Il tutto mentre questo colosso aveva radici affaristiche già ben piantate negli USA, mentre altri conglomerati industriali, finanziari e militari statunitensi stavano trapiantando le loro radici in Germania (una per tutti l’industria automobilistica della famiglia Ford, il cui capo era grande amico di Hitler).
Basta una rapida carrellata delle apposite pagine su Wikipedia per ottenere gli appositi riscontri. Quello che ci interessa in questo approfondimento è il fatto che la I.G. Farben, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, strinse degli accordi segreti con i maggiori vertici delle forze armate americane perché non fossero bombardati i suoi stabilimenti in Germania. Ad avvalorare questa tesi è il fatto che alla fine della guerra il 93% delle sue fabbriche non aveva subito alcun danno. Neanche l’immensa fabbrica “Buna” di Auschwitz alla quale era annesso l’omonimo campo concentramento, pur essendo stata scoperta durante un volo di ricognizione di aerei americani partiti dall’aeroporto di San Severo (Provincia di Foggia, Italia) nel marzo del 1944 e pur producendo due prodotti essenziali per la catena produttiva bellica dei nazisti, fu mai bombardata.
La compagnia tedesca che fornì questo “servizio” assicurativo fu la Allianz, attualmente uno dei colossi mondiali delle assicurazioni, che nel dopoguerra aveva come Amministratore Delegato un certo Kurt Schmitt, lo stesso soggetto che era stato anche il ministro dell’economia nel governo di Hitler e che, in tale ruolo, aveva fatto in modo che tutte le principali offerte di assicurazione stipulate dal regime nazista andassero confluire nei bilanci della Allianz. Il risultato fu che tutti i campi di concentramento presenti nelle adiacenze di impianti industriali, Auschwitz inclusa come detto, divennero luoghi dove le strutture, i servizi e i dipendenti vennero in qualche modo “assicurati”. Ovviamente da tale copertura di rischio, rimasero esclusi gli schiavi e i detenuti. Ma se già questo vi sembra ripugnante c’è ancora molto altro di peggio: ne riparleremo con altri approfondimenti su questo sito.
Tornando ai giorni nostri, è impossibile non vedere (per chi vuol vedere, ovviamente), che il copione è pressochè identico, cambia solo il nome degli attori. Nel conflitto bellico in corso è preponderante, sotto ogni punto di vista (soprattutto politico) il complesso militare/industriale della Russia che è interamente controllato dallo Stato, sia direttamente che con partecipazioni societarie. Come lo fu a suo tempo la I.G. Farben in Germania, oggi il principale attore degli affari che si fanno con la guerra è il colosso Rostec (a sinistra il suo logo), fondato direttamente da Vladimir Putin nel 2007 e che comprende circa 700 imprese, che insieme formano 14 holding con beni dislocati in più di 70 Paesi nel mondo. Questo colosso controlla tra gli altri le fabbriche che costruscono gli elicotteri da combattimento (Russian Helicopters) e le industrie che producono il più famoso e diffuso fucile mitragliatore esistente al mondo: il kalashnikov. Nel controllo di questo colosso militare, industriale e finanziario c’è anche la holding aeronautica United Aircraft Corporation, che produce aerei da trasporto, sia civile che militare, noti con i marchi Ilyushin, Sukhoi, Tupolev, Yakovlev.
Discorso analogo vale il conglomerato Almaz-Antey, oggetto delle varie ristrutturazioni industriali adottate da Vladimir Putin e che oggi è stabilmente nei primi 20 posti delle maggiori compagnie mondiali di produzione armamenti: il gruppo include anche industrie che fabbricano navi e sistemi di trasporto/logistica terrestre. Guarda caso sono tutte tecnologie che tutt’oggi costituiscono la struttura portante dell’apparato delle forze armate ex sovietiche ed oggi solo russe. Alcuni studi del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stimano che nel settore degli armamenti in Russia ancora oggi ci sono tra i 2 e 3 milioni di occupati, che grosso modo corrispondono al 20% della mano d’opera impiegata nella produzione manifatturiera di quel paese. Un’industria che grazie alla guerra in Ucraina sta già avendo un fortissimo rilancio grazie anche ai consistenti ordinativi che stanno provenendo dall’estero: in primo luogo dalla Cina e dall’India. Mentre la propaganda dei mass media internazionali si attarda sulla necessità di fornire altre armi all’attuale governo dell’Ucraina (che poi, sostanzialmente, serve a far realizzare altri affari dello stesso genere nella parte contrapposta), pochi ricordano il fatto che ancora oggi la Russia è il secondo produttore di armi a livello globale dopo gli Usa. E con le alleanze politiche e strategiche che si stanno relizzando proprio con le due nazioni più popolose al mondo, grazie anche alle enormi dispobilità di fornitura di combustibili fossili ancora in mano alla stessa Russia, l’obiettivo del primo posto in classifica è sempre meno lontano.
Come accennato, questo comunque è solo uno dei tantissimi esempi dello stesso copione che possiamo documentare. Come se tutte le vittime di questi giganteschi affari, non solo quelle della seconda guerra mondiale, ci stessero guardando dobbiamo assolutamente documentarle. Quando allunghiamo la mano al supermercato per afferrare quella confezione di un noto marchio svizzero che produce cioccolata, quando ingeriamo un’aspirina in caso di mal di testa, quando guidiamo un’autovettura (italiana, francese, tedesca, americana o giapponese poco importa), quando usiamo le pentole di acciaio per cucinare, versiamo o ritiriamo denaro nel o dal conto bancario, scattiamo una foto ai nostri figli durante la festa del loro compleanno, viaggiamo a bordo di un treno, beviamo una determinata bibita gassata o indossiamo un determinato tipo di jeans: non esiste praticamente settore industriale che non abbia ricevuto ingenti commesse dai governi degli stati belligeranti e che non abbia utilizzato grandi quantità di prigionieri o comunque di vittime innocenti per attuare la propria colossale fortuna attuale. In cambio i prigionieri, oltre a qualche spicciolo, ottenevano la speranza, non la promessa, né tanto meno la certezza, della sopravvivenza. In pratica una schiavitù che ogni volta viene resa “legale” attraverso la guerra: ci siamo cascati anche questa volta e la retorica sulla democrazia violata, lascia il tempo che trova, visto che le armi totali vendute nel mondo nell’anno 2020 hanno raggiunto la spaventosa cifra di 1.981 miliardi di dollari e sicuramente questa guerra la farà aumentare ancora di più. Presto ne riparleremo qui con altri approfondimenti.
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