Ottenere quello che ci serve in cambio di niente, evitando che i rifiuti finiscano in discarica. Questa è la soluzione intelligente che sta permettendo a milioni di persone nel mondo di non farsi contagiare dalla peggiore delle malattie psicologiche attualmente imperanti: il bisogno di acquistare continuamente cose nuove, spesso perfettamente inutili, perché spinti a farlo da potentissime campagne pubblicitarie.
Da quando Amazon ha introdotto il ‘Black Friday’ anche sul mercato europeo nel 2010, il fenomeno si è diffuso in tutto il continente ed è cresciuto del 124% negli ultimi 4 anni. Sedotti ad acquistare sempre di più, le persone buttano via oggetti perfettamente buoni che poi travolgono il flusso dei rifiuti e inquinano i nostri mari e oceani, quando già si sa che il nostro ambiente non può più sostenere questo enorme spreco.
‘Buy Nothing Day’ (il “giorno in cui non compare niente”) è nato nel 1992, da Ted Dave, un artista che vive a Vancouver, Canada, come risposta al sovraconsumo: i partecipanti si sono impegnati a non comprare nulla per 24 ore. Poi nel 1997 la ricorrenza è stata spostata alla giornata del venerdì dopo il Ringraziamento americano: il giorno di shopping più popolare negli USA, già noto anche come ‘Black Friday’.
In risposta a questo ennesimo fenomeno di iper consumismo indotto, nel 2013 Liesl Clark e Rebecca Rockefeller, che vivono a Bainbridge Island, Washington USA, hanno deciso di fondare il ‘Buy Nothing Project’. L’idea è iniziata mentre le due madre stavano con i loro figli sulla riva del mare, dove hanno cominciato a notare quanta plastica veniva spiaggiata da tutte le cose che consumiamo per le nostre case, le nostre auto e i nostri posti di lavoro; così è nato un movimento sociale di costruzione di una comunità. Il ‘Buy Nothing Project’ è una rete di economie delle locali dove i residenti della stessa zona sono in grado di riunirsi e condividere praticamente qualsiasi cosa senza scambiare denaro: in questo modo viene ridotto drasticamente anche il loro impatto sull’ambiente. Questa rete di economie locali attualmente ha 4,3 milioni di membri residenti in 44 paesi del mondo.
Rebecca Rockefeller, cofondatrice del Buy Nothing Project, dice che l’economia del dono esiste da sempre per una buona ragione. “Questo è il modo in cui siamo sopravvissuti originariamente come specie umana”, dice. “Ha senso che sia qualcosa di cui stiamo riscoprendo il valore ora, perché siamo in uno di quei punti più critici di involuzione nella società in cui dobbiamo pensare molto a come andare avanti se vogliamo farcela tutti”. Il movimento serve a trovare “soluzioni nuove e innovative alle questioni fondamentali che stiamo affrontando: sostenibilità, gestione dei rifiuti, economia circolare, equità, disparità di reddito, accessibilità e costruzione della comunità”. Ogni gruppo ha il proprio codice di condotta, tuttavia ci sono alcune regole universali, vale a dire: nessun acquisto, vendita o baratto di qualsiasi tipo. Tutto deve essere dato liberamente.
Il ‘Buy Nothing Project’ incoraggia anche “doni di sé stessi, cioè di talento e di tempo”. Si tratta di accedere all’abbondanza preesistente all’interno della comunità e ridistribuirla in modi che vanno a beneficio di tutti. All’interno dei gruppi locali, i membri offrono qualsiasi cosa, da abiti “premaman” o libri per bambini ai mobili; qualsiasi membro può anche chiedere la disponibilità agli altri di qualcosa di cui ha bisogno. In un gruppo di Los Angeles, ad esempio, è stato donato un lievito madre che ha avuto come risultato tanto pane poi regalato ad altri vicini. A volte le persone danno o ricevono competenze: consigli sul giardinaggio, per esempio.
Freecycle’ a sua volta è un altro movimento globale, gestito come una rete locale da volontari. È iniziato il 1° maggio 2003, quando Deron Beal di Tucson, Arizona USA, ha inviato la prima e-mail che annunciava la rete Freecycle agli amici e a una decina di organizzazioni non profit. Un anno dopo il suo lancio, la cyber-comunità era già cresciuta a più di 500.000 membri in 1.500 città, e Beal è oggi direttore esecutivo del movimento globale Freecycle.
Anche in questo caso si tratta di un movimento di base, senza scopo di lucro, che permette a tutti di dare e ricevere. Con la missione di condividere risorse, ridurre i rifiuti, risparmiare risorse preziose e alleggerire il peso sulle nostre discariche, i membri beneficiano della forza di una comunità più grande.
Attualmente il movimento risparmia dallo smaltimento nelle discariche oltre mille tonnellate al giorno di oggetti e cose che non diventano rifiuti, (equivalenti a quindici volte l’altezza del monte Everest). Nell’ultimo anno, Freecycle è anche un movimento che si occupa di questioni sociali: un membro ha trovato un letto per uno dei suoi pazienti in un ospizio. Il paziente, avendo recuperato abbastanza per essere dimesso dall’ospizio stesso, ma non avendo una casa propria ed essendo ancora troppo malato per lavorare, viveva nel frattempo con sua moglie nella veranda della casa di un cugino. Il letto singolo, convertibile in matrimoniale, ha dato la possibilità alla coppia di trovare un posto dove poter dormire.
Ancora una volta vediamo come una soluzione sostenibile può fornire la risposta a molti dei problemi che affrontiamo oggi. È probabile che qualcuno abbia bisogno di ciò che un’altra persona non usa più: si tratta solo di far incontrare queste due necessità. Le risorse comunitarie condivise non solo aiutano il nostro ambiente riducendo i rifiuti derivanti dal sovraconsumo, ma affrontano anche la disparità sociale: dando a tutti la possibilità di trovare ciò di cui hanno bisogno senza lo scambio di denaro. Inoltre, il forte senso di comunità nasce proprio dal fatto che i residenti si riuniscono e condividono competenze oltre che “cose”. Quindi, non più individui singoli “schiacciati” dalla pressione psicologica della pubblicità di Amazon per apparire “allineati” nella società dei consumi, ma gruppi di persone consapevoli di ciò che possono dare e ricevere dagli altri, senza passaggio di denaro o di altri valori di scambio. Esattamente quello che ha permesso agli umani di diventare (non sappiamo ancora per quanto tempo) la specie prevalente su questo pianeta.