I servizi eco-sistemici sono ormai diventati un punto di riferimento per qualsiasi tipo di teoria economica. Non a caso l’origine delle parole Economia ed Ecologia è comune: oikos che in greco significa “casa”. La parola Economia quindi sta a significare letteralmente “gestione della casa”, intesa come gestione dell’ambiente, mentre la parola Ecologia sta ad indicare (per sommi capi, n.d.r.) cosa succede in quella casa/ambiente: in particolare per la parte gestita (malissimo) dagli esseri umani. Ed è ormai imprescindibile sia sul piano eco-nomico che eco-logico capire ciò che fa la Natura spontaneamente per rendere possibili grandi vantaggi collettivi. Propio questa è la lezione che dovrebbe imparare ogni essere umano per i prossimi 50-100 anni. In ogni facoltà universitaria di Economia si dovrebbe istituire un corso di laurea appositamente dedicato. Anzi, meglio, l’Economia degli Eco-sistemi dovrebbe essere il corso base per poi arrivare agli altri tipi di specializzazione: tipo matematica e fisica per la laurea in Ingegneria. Anche perché poi, prendere lezioni direttamente dalle piante, non è così complicato.
Già circa 12 anni fa, al Congresso delle organizzazioni agro-forestali mondiali tenutosi a Nairobi, in Kenia, alcuni ricercatori africani avevano dimostrato che una particolare specie di pianta, che cresce spontanea nelle zone sub-sahariane, ha delle capacità prodigiose. L’albero della “Faidherbia albida” (Mgunga, in lingua africana swahili) riesce a fertilizzare il terreno attraverso le sue foglie ricche di azoto, principale elemento nutrizionale delle colture agricole, con rese produttive che arrivano anche al 280% in più rispetto a terreni limitrofi. Basta piantare circa 100 alberi per ettaro.
Questa pianta riesce pure a combattere la desertificazione perché resiste ad escursioni climatiche più ampie rispetto agli altri alberi. Fornisce alimentazione aggiuntiva all’allevamento di bestiame e inoltre dà ottimo legname da costruzione.
Può quindi essere di grande aiuto dove più la popolazione agricola soffre per denutrizione e siccità.
Pare che la corteccia abbia persino delle ottime capacità medicamentose verso numerose malattie.
Già all’epoca molti paesi africani hanno deciso di avviare ampi programmi di riforestazione con questi alberi. L’obiettivo a breve termine è quello di coinvolgere almeno 50 milioni di agricoltori con questa riconversione produttiva.
Recentemente inoltre si è anche scoperto che nel deserto del Sahel (Africa sub-sahariana) i fiori di questa pianta svolgono un ruolo determinante per l’apicoltura. I suoi fiori sbocciano all’inizio della stagione delle piogge, quando la maggior parte delle altre piante locali non sono ancora fiorite. Non da ultimo, la pianta dispone di radici che possono penetrare nel suolo fino a grandi profondità, grazie alle quali riesce a sopravvivere a lunghi periodi di siccità. In questo modo vengono “mobilitati” anche altri elementi nutritivi (soprattutto oligoelementi) che raramente si trovano in aree desertiche.
In tutt’altra situazione economica ed ecologica si trovavano le piante dell’isola di Guam che, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, è situata nella parte meridionale dell’Arcipelago delle Marianne. Verificato il fatto che alcune specie di piante rare e che crescono solo da quelle parti, ormai erano arrivate al limite della scomparsa definitiva (in un caso era rimasto vivo e vegeto un solo esemplare), il governo locale ha provvedutio ad avviare un programma di prevenzione dall’estinzione.
Un apposito studio aveva dimostrato come la perdita di due particolari tipi di piante, determinava degli effetti dannosi a catena sull’intero ecosistema. Gli studiosi incaricati hanno quindi cercato di capire come mai ciò accadeva ed hanno così scoperto che due specie in particolare (che grosso modo assomigliano alle nostre palme nane) ospitano i “mitici” cianobatteri: i batteri che attraverso la fotosintesi fissano l’azoto atmosferico direttamente all’interno degli radici degli alberi. E’ una sorta di allenza in cui dei piccoli microbi condividono volentieri l’azoto appena acquisito, come contributo per una una simbiosi dalla qualle traggono beneficio entrambi gli organismi. Lo studio si è poi occupato delle concentrazioni nel suolo di tre elementi che incidono sulla crescita e sullo sviluppo degli organismi viventi. Nei terreni vicini alle piante, l’azoto e il carbonio aumentavano a concentrazioni superiori a quelle dei suoli distanti, mentre al contrario diminuivano le concentrazioni di fosforo. In sostanza i cambiamenti chimici imposti da quelle piante, dando agli altri esseri viventi maggiori livelli di azoto e carbonio rispetto al fosforo, aumentavano l’eterogeneità e la biodiversita. La loro scomparsa quindi avrebbe determinato un disastro nei servizi ecosistemici dell’intera isola. Raccogliendo semi e altro materiale di propagazione il programma è così riuscito ad evitare il rischio di estinzione di queste piante “altruiste”.