C’è ancora una grande confusione intorno all’uso delle diverse specie di canapa e questa è la principale ragione dei problemi legati alla sua coltivazione. Un conto è la varietà per uso alimentare, sanitario e industriale (Cannabis sativa) e tutt’altro conto è la varietà per uso psicoattivo non sanitario e ricreativo (Cannabis indica), che viene considerato illegale ancora in tanti paesi nel mondo. La distinzione non è di poco conto perché è risaputo che la canapa è una pianta straordinaria, in grado di nutrire, vestire, riparare e curare milioni le persone, in particolare per le sue proprietà antidolorifiche. Dalla sua trasformazione si ricavano anche produzioni di carta, materiali da costruzione, energia rinnovabile, materiali isolanti, assorbenti chimici, fibre, cosmetici e altri derivati di larghissimo uso, ottenuti a basso costo e con coltivazioni biologiche perfettamente rinnovabili. Senza considerare l’altra grande caratteristica (che a noi sta molto a cuore) relativa alla sua coltivazione: la creazione di molti posti di lavoro sostenibili. Ma ancora oggi basta usare genericamente la parola “Cannabis” per suscitare tante incomprensioni e diffidenze, in particolare quando vengono scoperte le coltivazioni destinate all’abuso di marijuana (ripetiamo: abuso e non semplice uso quotidiano). Ma la sostanza che si usa per il cosiddetto “sballo” in questa storia non c’entra nulla. Perché non sempre, forse quasi mai, queste generalizzazioni sono disinteressate. Perché l’economia predatoria, estrattiva e pirata in cui siamo immersi in quest’epoca non vede mai di buon occhio e tende a demonizzare tutte quelle soluzioni proposte dalla Natura conosciute da millenni e che potrebbero sostituire, anche da un giorno all’altro, i costosissimi prodotti che ci propina il sistema agro-chimico-farmaceutico imperante. Poiché, come sempre, il problema è soprattutto di corretta informazione, vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza, iniziando dall’uso terapeutico della canapa.
Usata dalla medicina cinese fin dal 2737 a.C., solo nel 19° secolo la cannabis è stata adottata ufficialmente come farmaco dalla medicina occidentale, a causa delle sue proprietà antiemetiche (contro nausea e vomito), analgesiche e anticonvulsive. Ben presto i suoi preparati si diffusero in tutte le farmacie d’Italia, d’Europa e degli Stati Uniti d’America. Fu in questo Paese che, soprattutto tra le fasce povere della popolazione, si diffuse il suo uso per fini ricreativi (i famosi “spinelli” o “canne”). Nel 1942, a seguito di una pesante compagna di stampa, la cannabis fu cancellata dall’elenco dei farmaci disponibili negli Usa. Dopo alcuni nuovi approfondimenti di molti scienziati in tutto il mondo, la svolta definitiva si ebbe il 5 novembre del 1998: gli elettori americani di sei stati americani (Alaska, Arizona, Colorado, Nevada, Oregon e Washington) approvano con referendum l’uso terapeutico della marijuana per i malati di tumore e di AIDS. Oggi in tutto il mondo gli ammalati che soffrono per malattie degenerative, croniche e invalidanti potrebbero avere accesso alle terapie antidolorifiche naturali senza dover spendere un sacco di soldi, come avvenuto in passato. I suoi fiori, le foglie e altre parti delle piante, una volta essiccati e sminuzzati, vengono assunti dai pazienti sotto forma di decotti e infusi, oppure inalati direttamente attraverso un vaporizzatore. Le cure attraverso questi derivati, infatti, non hanno niente a che fare con la voglia di farsi “una canna” o uno “spinello”: quel tipo di sballo che a lungo andare, per intenderci, è dimostrato che danneggia il cervello, andando anche oltre agli altri danni che produce l’abuso del fumo di tabacco. Questi princìpi attivi sono a tutti gli effetti dei medicinali che vengono utilizzati persino come co-adiuvanti nella cosiddetta “terapia del dolore” per malati terminali, al fine di contenere i dosaggi dei farmaci oppiacei (tipo la morfina). Per tali motivi possono essere acquistati solo ed esclusivamente con ricetta medica. Infatti, da molto tempo il mondo scientifico conosce gli effetti benefici dei cannabinoidi per il trattamento del dolore cronico: in particolare per quello associato alla sclerosi multipla, alla SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), al morbo di Parkinson e alle lesioni midollari.
Anche la nausea e il vomito, indotti dalla chemioterapia contro i tumori, trovano notevole giovamento dall’uso di questi prodotti, soprattutto quando le altre terapie non si sono dimostrate efficaci. Alcune associazioni a tutela dei malati a livello internazionale sostengono comunque che la cannabis dovrebbe essere usata per molte altre importanti malattie: ad esempio, dai malati di glaucoma che ricevono un grande sollievo dal suo uso per ridurre la pressione intra-oculare. Con l’avvento della pandemia da Covid 19, ci sono già le prime ricerche sperimentali (in Brasile) per l’uso dei derivati della canapa nel portare sollievo ai soggetti formalmente guariti dalla malattia, ma che manifestano disturbi e complicazioni alquanto gravi e persistenti. Condizioni che in molti casi lasciano gli stessi pazienti in situazioni invalidanti e di difficile recupero.
La questione quindi non sta nell’efficacia di questi prodotti, ma sul come si ottengono. Incommercio di farmaci che utilizzano i principi attivi naturali della canapa ce ne sono pochi: in particolare solo uno viene ricavato dalle infiorescenze essiccate della varietà “indica” mentre le altre si ricavano dalla varietà “sativa”, a dimostrazione che la confusione informativa nell’uso dell’una o dell’altra varietà danneggia queste ultime. Ma tutti gli altri farmaci “cannabinoidi” in commercio in realtà sono sintetici. Uno in particolare (il Sativex) pur recando in etichetta i principi attivi similari a quelli della canapa, viene ottenuto per estrazione e sintesi chimica: è stato brevettato da un’azienda inglese e viene distribuito da una importante industria chimico-farmaceutica tedesca. Costa oltre 700 euro a flacone (circa un mese di terapia). Solo questo dato la dice lunga sugli interessi economici in gioco. Gran parte dei pazienti però preferiscono i farmaci cannabinoidi naturali, perché i derivati sintetici, oltre ad essere molto più costosi, sembrano mostrare minore efficacia e maggiore incidenza di effetti collaterali. La speranza, quindi, è che presto si arrivi a soddisfare totalmente la richiesta dei pazienti con la produzione naturale. Non a caso in tutta Europa, negli ultimi anni, sono aumentate esponenzialmente le prescrizioni di cannabis terapeutica. Ma le opportunità di utilizzazione, dicevamo all’inizio, non si limitano solo all’uso in campo sanitario.
In commercio ormai si trovano anche tanti altri prodotti alimentari a base di canapa: latte, thè, oli, semi, barrette e polveri proteiche. Con le fibre tessili si ottengono indumenti leggeri e molto resistenti. Il mondo delle costruzioni la sta usando per creare isolanti termici e anti-umidità, mentre la produzione di biomassa con i residui di lavorazione riscuote un ampio successo per produrre energia da fonti rinnovabili, oltre che di compost per l’agricoltura. C’è ancora molto da fare per creare a livello internazionale un quadro normativo di supporto alla rimozione dei fraintendimenti nell’uso dei derivati della canapa, ma l’aumento della consapevolezza dei benefici della pianta dovrebbe superare entro poco tempo gli stereotipi che sono stati creati (artatamente o meno) intorno ad essa. In giro per il mondo infatti stanno nascendo ogni giorno nuove fattorie specializzate nel coltivare la canapa e trasformarla in prodotti utili. C’è persino chi ha allestito un museo (fattoria Obelisk Farm in Lituania – qui di fianco enella foto di apertura) suddiviso in 4 diverse mostre: canti popolari, persone e le loro storie, vecchi macchinari e usi moderni della pianta di canapa. In una apposita officina poi si presentano sessioni tematiche, esclusive e rilassate, a coloro che amano la canapa o che hanno deciso di saperne di più su questa pianta, come la carta di canapa e la canapa come materiale da costruzione. Naturalmente, in tutti i sensi, non mancano gli spazi educativi basati sulla condivisione di esperienze e sulla creazione di una rete di studenti e formatori che insieme potrebbero stimolare altre iniziative su temi diversi come la costruzione di edifici, il cibo naturale, il consumo e la produzione collaborativa. I titolari della Obelisk Farm ci tengono a sottolineare che tutti i visitatori arrivano come estranei, rimangono come amici e se ne vanno come membri della stessa famiglia umana.
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