Cosa accadrebbe se al posto di quest’economia predatoria delle risorse naturali che ci sta portando al collasso planetario ne avessimo un’altra basata sulla conservazione e la valorizzazione delle stesse risorse? Risposta: si creerebbe una ricchezza pressoché illimitata con la quale si potrà eliminare la povertà e l’ingiustizia sociale da questo pianeta. Da quasi dieci anni l’ONU e la banca mondiale hanno stimato che a livello globale per ogni dollaro investito negli ecosistemi all’interno delle aree protette si genera un beneficio di 100 dollari di servizi e anche fuori dalle aree protette questa stima risulta altamente positiva. Questo significa che al posto dell’attuale ricchezza basata sulla speculazione e sul nulla (il valore di scambio monetario delle valute) dovremmo investire sulla ricchezza reale che riconosce il giusto valore d’uso all’acqua pura, all’aria pulita, alle erbe e alle piante dalle quali si ricavano cibo e medicine, all’impollinazione delle api e alla biodiversità in generale; fino ai delicati meccanismi ecologici che regolano il clima su questo pianeta. In pratica significa dare un valore e pagare (letteralmente) l’uso di tutti quei servizi ecologici forniti gratuitamente dalla Natura, che garantiscono quotidianamente la nostra sopravvivenza e il nostro benessere. Sono gli stessi servizi che l’attuale modello economico predatorio sta mettendo sempre più in difficoltà, indebolendone, diminuendone e degradandone le capacità di resisilenza e di rigenerazione. Considerarare i servizi ecosistemici con numeri, formule matematiche e leggi che incidono sulla nostra vita quotidiana (quindi non più solo in termini scientifici, estetici, culturali o etici) ormai non è più una scelta tra le tante possibili, ma una strada obbligata per la nostra sopravvivenza. Sia perché i costi derivanti dalla loro distruzione sono diventati immensi e non più quantificabili, sia perché questi costi sottraggono ai bilanci statali sempre di più risorse che, tra l’altro, permetterebbero di sfamare le popolazioni che non hanno cibo e acqua e che sono costrette ad attraversare deserti, mari e oceani per avere una vita degna di essere vissuta.
Di questa storia fanno parte anche i grandi gruppi economici che, utilizzando indiscriminatamente le risorse naturali, realizzano ogni hanno grandi profitti senza pagare quasi nulla rispetto all’impatto che producono a livello sociale e ambientale. Su questo sito siamo abituati ad usare esempi per chiarire concetti in apparenza molto complessi (come in questo caso), e per tale motivo partiamo da un emblema: il pagamento del servizio ecosistemico (PES) per la preservazione della qualità e della quantità dell’acqua potabile.
Nella regione del Baden-Württemberg, in Germania è stata istituita dal 1988 una tassa di prelievo delle acque sotterranee e di quelle superficiali dei fiumi e dei laghi, in particolare per quelle che vengono utilizzate per il raffreddamento delle centrali termoelettriche (in buona parte ancora alimentate a carbone). Questi impianti che utilizzano grandi quantità d’acqua, soprattutto di fiume, senza la quale non potrebbero funzionare. Il costo attuale del prelievo è pressoché insignificante, 1,5 centesimi di euro per metro cubo (1 m.c. corrisponde a mille litri di acqua) e i proventi vengono destinati anche alla protezione dalle inondazioni che si prevedono in futuro sempre più ricorrenti a causa dei cambiamenti climatici, non a caso causati in parte anche dalle centrali termoelettriche. Sempre in Germania, nella regione della Bassa Sassonia, alcuni anni fa è stata istituita la tassa ““water penny” per proteggere una superficie agricola di circa 300mila ettari e che coinvolge 12mila agricoltori. Grazie ad un apposito regolamento regionale che ha previsto l’abbattimento dell’inquinamento della falda acquifera dai prodotti chimici usati in agricoltura, è stata data la possibilità ai gestori del servizio idrico locale (sia pubblici che privati) di inserire nelle bollette una piccolissima tassa che serve ad incentivare stessi gli agricoltori a non usare pesticidi e prodotti chimici nelle loro coltivazioni e possibilmente per convertire le stesse produzioni all’agricoltura biologica. Una parte dei ricavi viene destinata anche al ripristino delle zone umide (particolarmente importanti per la lotta ai cambiamenti climatici) e al rippristino degli ecosistemi fluviali.
Soprattutto d’estate l’acqua serve anche per spegnere gli incendi e 9 Comuni del golfo di Saint-Tropez, in Francia, hanno pianificato di proteggere e utilizzare la risorsa anche per questo scopi. Attraverso una convenzione con il gestore che si occupa della distribuzione dell’acqua potabile proveniente dalla diga di “La Verne”, che ha un bacino di circa 2.000 ettari, vengono realizzati sistematicamente interventi di protezione della zona boschiva dove si trova il medesimo bacino idrico. Con le bollette il gestore idrico garantisce anche un autofinanziamento del 20% per la creazione di nuovi spazi boschivi, per la rigenerazione di quelli ormai arrivati a fine ciclo di vita e per contrastare l’erosione del suolo forestale. E’ da sottolieare il fatto che il 40% degli introiti provenienti da questo pagamento per mantenere il servizio ecosistemico in perfetta efficienza va ai lavori di manutenzione del bosco all’interno del quale è collocata la diga. Il budget interessato da questa specifica voce è decisamente basso: circa 50mila euro l’anno, che corrisponde ad una spesa di circa 6,25 euro l’ettaro all’anno. Da quando esiste questa forma di tassazione minimale da quelle parti gli incendi sono pressoché scomparsi e non si spendono più le ingenti somme che in passato servivano per riparare di disastri idrogeologici causati dalla distruzione del bosco e dal conseguente insabbiamento della diga.
Questi esempi ci dimostrano che i costi sostenuti per pagare i servizi ecosistemici sono quasi insignificanti rispetto agli enormi vantaggi che producono. I costi infatti riguardano interventi ad alta intensità di lavoro e a bassa intensità di capitale monetario e non richiedono particolari abilità e specializzazioni professionali. Mettere nel conto la Natura, nel senso di pagarla per i servizi che ci offre quotidianamente, significa anche pagare il lavoro che serve per preservarli e mantenerli in perfetta efficienza. I soldi, come abbiamo visto, si prendono facilmente dai mancati costi per i disastri che stiamo infliggendo in modo dissoluto e stolto. Non esiste nell’intero sistema solare (più in là nell’universo, non sappiamo) che allo stesso tempo produca così tanto cibo e materie utili alla nostra vita e così tante opportunità di lavoro. Ed è da questa considerazione che bisogna ripartire per arrivare a quella retribuzione universale di base che ha auspicato per primo Papa Francesco nella sua Lettera ai movimenti popolari pubblicata il 12 aprile 2020 (giorno di Pasqua).
Perché i soldi ci sono e vanno spesi per prevenire (ex ante) la distruzione delle risorse naturali. Quando questa distruzione è già avvenuta, cioè quando usiamo gli stessi soldi per riparare la ricchezza della Natura (ex post), non facciamo altro che incrementare povertà e la diseguaglianza sociale. La manutenzione regolare e puntuale dei servizi ecosistemici invece libera sistematicamente risorse che possono creare un “fondo cassa” che in poco tempo si pagherebbe da solo con i benefici derivanti dalla manutenzione stessa. Ogni intervento di ripristino della loro funzionalità e ogni nuovo posto di lavoro cosi creato possono essere retributi da questo fondo. E se consideriamo l’enorme processo di estinzione della biodiversità causato dalla attività umane nel mondo e le perdite dovute al superamento della capacità portante del pianeta (“carryng capacity”) ci rendiamo conto che in questo modo possiamo ottenere realmente una ricchezza illimitata per eliminare la povertà e l’ingisustizia sociale dalla faccia della Terra.
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