Le discariche dei rifiuti sono ormai presenti in ogni angolo del mondo e sono piene di materiali che sono stati estratti da qualche altra parte. L’economia lineare (estrazione, produzione, uso e abbandono) ci ha consegnato un doppio danno ambientale, l’inquinamento provocato dallo smaltimento dei rifiuti e la devastazione dei luoghi e del paesaggio provocata dalle attività minerarie.
Due enormi fattori di degrado che allo stesso tempo rappresentano anche un doppio danno economico: per la bonifica dei siti contaminati e per il sistematico depauperamento di risorse limitate. Anche in questo caso i problemi appaiono di difficile soluzione ed immaginare di far diventare proprio le discariche dei rifiuti dei nuovi luoghi di estrazione mineraria (il titolo di questo approfondimento allude proprio a questo) può sembrare l’ennesima provocazione di questo sito. In realtà noi partiamo da una constatazione scientifica che da tempo interroga i ricercatori di tutto il mondo. Esistono in Natura tantissime piante (ne sono state individuate finora oltre 700) che si nutrono con elevate quantità di metallo. Queste quantità normalmente sono tossiche e letali per qualsiasi altro essere vivente, mentre altre ancora crescono spontaneamente su terreni ricchi di un metallo in particolare, trasportando così allo stadio organico elementi che prima erano solo minerali. Sembra che lo facciano per auto-immmunizzarsi e auto-difendersi dagli attacchi parassitari e dalle malattie fungine, ma le ragioni esatte ancora non si conoscono.
Già sette anni fa gli scienziati dell’Università delle Filippine erano rimasti meravigliati dalla capacità della “Rinorea niccolifera”, una painta che cresce spontanea nella parte occidentale dell’isola di Luzon, in una zona nota alle popolazioni locali per l’enorme quantità di metalli pesanti presenti nel suolo. Questa pianta ha la capacità di assorbire il nichel (un metallo ferroso), in quantità 1.000 volte superiore a quelle di altre piante. Le sue foglie possono assorbire fino a 18mila parti per milione (ppm) del metallo. Trasformando questa unità di misura adimensionale in qualcosa di più comprensibile, vuol dire che l’1,8% delle foglie di questa pianta è formato da atomi del metallo: un’ottima quantità anche se fosse ottenuta da una “ordinaria” escavazione mineraria. Per questo le stesse popolazioni locali hanno soprannominato l’albero di Rinorea “la pianta che mangia il ferro”.


Recentemente si è scoperto che il nichel si può estrarre anche da un altro albero, la Pycnandra acuminata, che cresce sull’isola della Nuova Caledonia, nel Pacifico meridionale.
La sua corteccia, una volta tagliata, secerne un particolare lattice di colore verde-blu che contiene fino al 25% del metallo. Non c’è niente di prodigioso in tutto questo: in fondo, la capacità delle piante di “estrarre” metalli e altri minerali dalla Terra, che poi diventano nutrimento per altri esseri viventi e senza doverli aggiungere dall’esterno, è uno dei principi fondamentali dell’agricoltura biologica e quindi dell’economia circolare.

Dall’altra parte sta il fatto che il maggior apporto all’inquinamento determinato dalle discariche nelle falde acquifere sono proprio quei metalli pesanti, in particolare il ferro, il nichel, il piombo e il cadmio, che costituiscono un danno per tutti gli esseri viventi tranne che per questi alberi “prodigiosi”. In sostanza queste piante, anche se con processi molto più lenti, sono in grado di riutilizzare e riportare in supericie quegli stessi elementi scavati per secoli dai minatori nelle viscere della Terra e che poi sono stati abbandonati come rifiuti. Abbinare le due cose, cioè piantare questi alberi sopra le discariche per recuperare i metalli sepolti, è quindi un’idea sicuramente logica, ma non sostenibile allo stato attuale della agonizzante economia lineare. Se non c’è convenienza economica (immediata) è difficile che la situazione si modifichi nei tempi necessari. Tutti i metalli, inclusi quelli preziosi che compongono le apparecchiature elettroniche che utilizziamo quotidianamente, i cellulari in particolare, resteranno sepolti per sempre nelle discariche, se non si trova una soluzione.
A scompaginare questo quadro di rassegnazione però è arrivata un’altra allettante scoperta fatta recentemente in Australia.
Alcuni alberi di eucalipto sono in grado di traslocare nelle loro cellule organiche gli atomi di oro presenti nei depositi minerari non sfruttabili dal punto di vista minerario, mentre le nuove scoperte di siti pontenzialmente sfruttabili come miniere d’oro sono calate del 45% negli ultimi 10 anni. Anche in questo caso non sono chiari i meccanismi biotici della migrazione dal terreno agli eucalipti. Gli scienziati australiani che se ne sono occupati infatti hanno avuto il dubbio se si trattasse veramente di un assorbimento attraverso le radici oppure di una occasionale contaminazione trasportata dal vento. Le ricerche fatte sul campo (non in un asettico laboratorio), sono arrivate alla conclusione che l’oro viene assorbito diettamente dalle radici. Il luogo si trova a 40 km a nord di Kalgoorlie (Australia occidentale – regione del Goldfields Esperance) nello Yilgarn Craton, in un’area che è ricca anche di nichel.
Nella zona è presente una delle miniere d’oro più grandi al mondo: il “Super Pit”. Una miniera che è aperta 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana ed ha un centro visitatori che si affaccia su di essa. La miniera fa detonare cariche esplosive tutti i giorni alle ore 13:00 (pare sia questa la principale attrazione per i turisti), a meno che i venti non portino polvere sulla città. Ciascuno degli enormi camion adibiti all’estrazione trasporta 225 tonnellate di roccia e il viaggio di andata e ritorno dura circa 35 minuti, la maggior parte del tempo è il lento trasporto in salita dal fondo della miniera a cielo aperto. Il sito dove è stato individuato il bosco degli eucalipti “auriferi” non si trova molto lontano, è caratterizzato da un bacino idrografico in leggera pendenza senza fonti note di contaminazione superficiale e non è disturbato da attività minerarie in corso.


Partendo però da questi dati per arrivare ad immaginare che si possa ricavare significative quantità di oro dalle foglie e dai rami di eucalipto, il cammino è ancora lunghissimo (diciamo pure incalcolabile), visto che le percentuali sono molto basse (tra 1 e 2 parti per miliardo).
Ciò vuol dire comunque che con gli alberi che si nutrono di metalli è stata aperta una ulteriore strada per un nuovo sistema di intervento di bonifiche di siti contaminati. Mantenendo fermi tutti i percorsi di riciclaggio e riutilizzo per non far finire in discarica i preziosi metalli che compongono soprattutto le nostre apparecchiature elettroniche e garantendo così una continuità di approvvigionamento, si apre in questo modo una nuova modalità di estrazione degli stessi materiali (quasi fosse il secondo tempo di un’unica partita) sepolti nei luoghi inquinanti. Trasformare i problemi ambientali in opportunità di sviluppo è l’unico futuro possibile che abbiamo davanti a noi.

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