L’industria lineare della moda veloce e dell’usa e getta è il secondo più grande inquinatore al mondo dopo il petrolio. Tuttavia la creazione della moda dell’economia circolare sta crescendo con gli imprenditori che reimmaginano i sistemi produttivi usando non solo materiali sostenibili, ma considerando anche la riparazione, il riutilizzo, la rivendita e il riciclaggio completo alla fine della vita utile di un indumento; cioè quando un capo d’abbigliamento viene scomposto completamente per formare parti di un nuovo prodotto, minimizzando il bisogno di estrazione di nuovi materiali.
L’azienda Rapanui T-shirts è nata in una capanna per iniziativa di due fratelli sull’isola di Wight, nel Regno Unito, nel 2008 e che avevano in cassa appena 200 sterline. I due fratelli inglesi, Rob and Martin Drake-Knight, che hanno iniziato a costruire il marchio erano determinati ad affrontare i problemi sociali e ambientali dell’industria della moda, e si sono resi conto che l’unico modo per farlo era iniziare da soli. Quando Rapanui è diventato noto per i suoi abiti sostenibili, altre aziende hanno iniziato a chiamarli per chiedere forniture. Così hanno reso l’accesso a questo tecnologia aperto consentendo a chiunque di costruire un’azienda utilizzando la lora catena di approvvigionamento gratuitamente, con il lancio del business tecnologico Teemill nel 2014.
I prodotti Teemill sono fatti con il 100% di cotone organico certificato GOTS, e si riforniscono dalle fattorie del commercio equo nel nord dell’India, dove i monsoni stagionali riempiono i bacini idrici, fornendo così quasi tutta l’acqua necessaria alla produzione. Ogni parte della pianta di cotone viene utilizzata, inclusi i semi di cotone vengono usati per l’alimentazione animale e per produrre olio da cucina.
I ritagli delle magliette sono trasformati in imballaggi che eliminano il normale scarto di produzione che poi diventa rifiuto. La loro fabbrica è alimentata da energia rinnovabile, usano inchiostri non tossici, il 97 per cento dell’acqua usata per tingere i prodotti viene recuperata e hanno praticamente sradicato la plastica monouso dalla loro catena di approvvigionamento. Ogni indumento è progettato per essere rigenerato quando è consumato, in modo che nuovi prodotti possano essere fabbricati con il materiale recuperato e i clienti che restituiscono i loro abiti logori vengono addirittura premiati con un buono di 5 sterline!
I jeans sono uno dei peggiori colpevoli nell’industria della moda lineare: per produrre un solo paio di jeans si usando circa 7000 litri d’acqua insieme a sostanze chimiche dannose e dopo l’uso finisce tutto in discarica.
MUD jeans è un’altra azienda, fondata da Bert van Son nei Paesi Bassi nel 2012. E’ stata la prima marca di denim jeans circolare con l’ambizioso obiettivo di produrre jeans che alla fine saranno al 100% di cotone riciclato post-consumo (attualmente la loro percentuale è del 40%). L’acqua viene risparmiata utilizzando solo acqua piovana e riciclando il 95% dell’acqua utilizzata: l’azienda ha anche eliminato tutte le sostanze chimiche tossiche dai suoi cicli produttivi.
Il problema era di nuovo come assicurare che i clienti restituissero i loro jeans alla fine del loro uso e così Bert van Son ha lanciato “Lease A Jeans”, e per una quota mensile i clienti sono invitati a prendere in affitto i loro jeans. L’affitto dura 12 mesi, dopo di che si possono tenere i jeans come propri, o restituirli per il riciclaggio o per scambiarli con un nuovo paio. “Lease A Jeans” ha ricevuto molta attenzione da parte dei media ed è infatti ora indicato come un caso da manuale nelle università che forniscono formazione in economia circolare.
Come risultato dei suoi sforzi, MUD Jeans ha risparmiato 300 milioni di litri d’acqua, 700.000 chilogrammi di CO2 e 12.000 paia di jeans dalla discarica e dall’incenerimento nel giro di soli tre anni.
Entrambi questi casi, ma ce ne sono altri, sono esempi di imprenditori che stanno usando le chiusure dei cicli di produzione (partendo dalla progettazione) che sono essenziali per creare un’economia circolare e con l’attenzione fermamente rivolta al design rigenerativo, in contrasto con il modello lineare take-make-use-waste (prendere-fare-usare-rifiutare).