Molte persone provano ribrezzo e disgusto quando trovano un verme dentro una mela. Quasi sempre tutto il frutto viene immediatamente buttato via senza considerare che gran parte della polpa e della buccia di quello stesso frutto sono ancora buone da mangiare. Così facendo però si compiono tre grandi errori: 1) si contribuisce ad aumentare lo spreco alimentare; 2) per produrre quella mela sono stati spesi dei soldi che non procurano nessuna utilità (azzeramento del valore aggiunto); 3) si agevola l’idea che le mele per il consumo umano non debbano avere nulla a che fare con i vermi. Ma così facendo si perdono anche di vista, e pian piano scompaiono dalla nostra cultura alimentare, altri importanti fattori: 1) il legame della stagionalità delle produzioni agricole e del loro consumo (le mele senza vermi si trovano agevolmente 12 mesi l’anno nei supermercati); 2) si ignora il maggiore valore nutrizionale della mela colta direttamente dall’albero, così come tutta la verdura e la frutta “fresca” appena raccolta, cioè quando è ancora croccante e tenera, in quanto non si sono ancora attivati i processi di decomposizione; 3) scompare l’altissimo valore educativo della biodiversità. Questo ultimo fattore è molto rilevante perché, per quanto possa sembrare sgradevole, in Natura una serie infinita di esseri viventi come i vermi, gli insetti, i batteri, i funghi, ecc., hanno il compito di “mangiare” lo stesso organismo che li ha ospitati “pacificamente” per tutta la vita nel proprio apparato digestivo. Ciò avviene al fine di riutilizzare con la decomposizione del corpo ospitante nuovo cibo per dare da mangiare a tutti gli altri esseri viventi che avranno la possibilità di accedervi. Infatti, anche se i processi qui descritti sembreranno tristi, macabri e disgustosi, che poi sono identici a quello che avviene negli esseri umani, nel nostro pianeta (non sappiamo in altri) non può esistere la vita di un essere vivente senza la morte di qualcun altro, vegetale o animale che sia. E’ sempre per noi buona prassi andare nel concreto: vediamo di cosa stiamo parlando.
Se siamo incappati almeno una volta in un animale morto da qualche giorno, oltre all’odore nauseabondo (che comunque è opera di un processo naturale) forse abbiamo fatto caso che il processo di decomposizione inizia sempre dallo stomaco. Ciò avviene perché gli stessi batteri e tutti i micro-organismi intestinali che hanno vissuto in armonia nel suo apparato digestivo (ottenendone nutrimento e possibilità di riproduzione) iniziano immediatamente il loro lavoro di scomposizione della carcassa subito dopo la morte. Il segnale viene colto in tempi brevissimi soprattutto dalle mosche verdi (Lucilia sericata) e altri insetti che hanno una sensibilità spiccata per gli animali appena deceduti e per i quali sta iniziando il processo di decomposizione: talvolta persino dopo pochi minuti. Questi insetti hanno la caratteristica di riprodursi deponendo le uova nella carne morta per dare a loro volta cibo immediato alle loro larve. Subito dopo la schiusa le larve diventeranno i vermi che poi completeranno la decomposizione della carcassa stessa, divenendo di conseguenza cibo diretto e indiretto per altri organismi viventi.
Un animale morto in modo naturale quindi rappresenta sempre l’occasione e il luogo di nascita, la fonte di sviluppo e l’opportunità di nutrimento per molte altre forme di vita, all’interno di un gigantesco meccanismo di riciclaggio infinito che si chiama biodiversità. Il mondo della scienza ha quindi ritenuto opportuno cercare di capire quale strategia viene utilizzata per trasformare sistematicamente la morte in vita… quasi si trattasse di scoprire il famoso elisir che ci dovrebbe far vivere per lungo tempo.
Le mosche verdi sono le prime ad entrare nella scena della morte, non perché sono una specie particolarmente macabra, ma solo perché la loro prole di vermi ha bisogno di tessuti molli per nutrirsi. Quando la carne diventa secca la possibilità di sviluppo delle larve scompare perché ai vermi mancano dei denti o di un becco (come avviene per gli uccelli rapaci) e non possono strappare la carne troppo dura. Le larve di mosca verde comunque hanno la possibilità di mordere la carne con la loro bocca uncinata e attraverso le ghiandole salivari producono appositi enzimi (chiamati “peptidasi”) che riescono a liquefare il tessuto morto per rendere più facile la deglutizione e la digestione. Gli scienziati che hanno studiato questo particolare settore hanno utilizzato il sequenziamento genetico delle secrezioni delle mosche verdi per identificare 185 singoli enzimi di peptidasi.
A cosa serve tutto questo discorso? A ragionare sul fatto che tutti gli organismi biologici, comprese le piante, gli animali e le persone umane, usano le peptidasi per vivere e guarire. Lo fanno anche i virus e, per dirla tutta fin da adesso, li usano sistematicamente anche i coronavirus, incluso il Covid 19. All’interno degli organismi viventi questi enzimi in pratica svolgono ruoli critici nel metabolismo, nella riproduzione, nella crescita e nel sistema immunitario. Quest’ultimo aspetto è quello che più ci interessa. Il problema è che le funzioni di alcune singole peptidasi sono note, mentre altre no. Inoltre, c’è ancora da capire come e perché le loro azioni e i meccanismi di funzionamento variano da specie a specie. Quello che comunque gli scienziati danno per assodato è che gli enzimi dei vermi delle mosche verdi riducono le infiammazioni, eliminano i batteri, coagulano il sangue e stimolano risposte di guarigione, in particolare nella pulizia di infezioni e ferite.
Il sito americano “Ask Nature” ci informa che l’uso degli enzimi pepdidasi delle mosche verdi è stato praticato da tantissimo tempo dalle popolazioni originarie di tutto il mondo (anche questa non è una novità). Ci sono resoconti storici di operatori sanitari che hanno fatto e fanno uso di vermi per aiutare a guarire le ferite tra i Maya, gli aborigeni australiani e altre culture indigene di tutti i continenti. Nell’Europa rinascimentale i benefici di questi sistemi bio-chirurgici venivano riconosciuti ma non implementati. La terapia delle ferite dei vermi è diminuita con l’avvento degli antibiotici, ma è ripresa con l’aumento dei batteri resistenti ai farmaci. La terapia larvale, nota anche come “asticoterapia” o “biochirurgia”, è stata riscoperta recentemente ed utilizza le larve di mosca verde per la cura di alcune patologie, in particolare per rimuovere il tessuto devitalizzato. Con questa terapia alternativa si esegue il trattamento di ferite e infezioni persistenti in pazienti con gravi ustioni, diabete e altri disturbi che ostacolano la guarigione. In sostanza, mangiando i tessuti appena morti, i vermi consentono ai tessuti ancora vivi e all’intero organismo colpito di superare la crisi. L’isolamento e la riproduzione degli enzimi dei vermi ha già portato alla produzione di un gel che imita le funzione degli enzimi dei i vermi medicinali (il prodotto si chiama “Maggot SolasCure”).
In futuro, la comprensione delle secrezioni dei vermi potrebbe portare a nuovi antibiotici, farmaci antinfiammatori e coagulanti. In Natura non esisto rifiuti e non esistono neanche organismi buoni o cattivi, magari giudicati solo in base alle apparenze e da questo punto di vista quindi bisognerà rivedere la sensazione di disgusto che proviamo quando abbiamo a che fare con un verme. Se lo troviamo dentro una mela vuol dire che già questo essere vivente prima di noi ha ritenuto quel frutto adatto per un buon nutrimento. Informazione preziosissima se consideriamo che circa l’80% delle nostre difese immunitarie si producono proprio all’interno del nostro stomaco, lungo il confine tra la vita e la morte. E tutto dipende da ciò che mangiamo. Ci ritorneremo.
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