Fino a pochi anni fa sembrava che i robot potessero sostituire tutti i lavori umani, iniziando da quelli che richiedono ripetitività e sforzo fisico. C’è chi è arrivato ad ipotizzare persino l’imminente fine del lavoro svolto da uomini e donne, che verrebbe rimpiazzato da computer, sistemi automatici e intelligenza artificiale. E in effetti una recente ricerca ha dimostato che entro il 2021 nelle fabbriche di tutto il mondo ci saranno 3,2 milioni di robot che stanno prendendo il posto degli operai: circa il doppio rispetto al 2015. Ma in realtà si tratta quasi esclusivamente di quelli che gli esperti del settore chiamano “robot stupidi”. Ad esempio dei bracci fissi programmati per eseguire compiti specifici e ripetitivi su oggetti che si trovano in posizioni note o arrivano a velocità prevedibili su un nastro trasportatore; oppure veicoli a guida automatica, come i carrelli elevatori senza conducente (ormai divenuti comuni nei magazzini moderni) che però necessitano di un’infrastruttura esclusivamente a loro dedicata per farla funzionare correttamente. Basta un codice sbagliato o uno scaffale spostato di pochi millimetri rispetto a quanto programmato dalla scheda del robot e tutto il sistema si blocca. Questi robot comunque (cosa da tenere bene in considerazione per non banalizzare/criminalizzare il settore), oltre che per lavori noiosi e ripetitivi, vengono impiegati anche per mansioni pericolose e “sporche”, cioè rischiose per la salute umana sia nell’ambiente di lavoro (la classica “sala verniciatura” di una fabbrica di automobili), sia in caso di calamità naturali e di necessità di sicurezza pubblica. Ma è ancora molto lontano l’obiettivo di poter utilizzare degli automi che sappiano identificare con precisione il loro ambiente esterno ed essere in grado di svolgere il loro compito senza soluzione di continuita in luoghi occasionali, accidentati e affollati. Per un essere umano, anche di pochi mesi, è facile capire e imparare che per passare da una stanza all’altra di un’abitazione si devono usare le porte, ma per un robot è molto difficile apprendere che non si possono attraversare i muri, regolandosi di conseguenza autonomamente.
Ancora più difficile è fargli imparare mansioni lavorative che per un essere umano sono estremamente semplici: tipo capire quando un pomodoro, una mela o un’arancia sono mature al punto giusto per essere raccolte. Quasi impossibile è fargli capire quando gli stessi prodotti agricoli, sempre ad esempio, sono alternativamente da scartare perché colpiti da malattia, oppure conservano comunque un valore commerciale per il mercato. Qualcuno ha accostato questi enormi problemi al noto dilemma “è nato prima l’uovo o la gallina”: come fanno questi automi a muoversi, orientarsi ed interagire con gli oggetti in un ambiente esterno, quando di quell’ambiente non conoscono nemmeno la propria posizione? Con questo ragionamento ci si sta avvicinando (forse oltrepassandolo) al confine del come e perché gli esseri umani sono diventati la specie animale egemone su questo pianeta e del come e perché questa egemonia potrebbe diventare presto la causa della sua estinzione: questo confine è rappresentato dalla capacità di adattamento degli umani all’ambiente, mentre oggi si continua a cercare di adattare l’ambiente agli umani.
I robot in grado di essere completamente autonomi, che quindi non dispongano di una struttura di supporto appositamente costruita e che sappiano usare una strategia di adattamento all’ambiente che li circonda (per l’appunto), costituiscono un importante obiettivo scientifico e industriale: molte ricerche del settore hanno dimostrato che i robot non sono affatto utili per l’economia quando sostituiscono integralmente il lavoro umano, ma lo diventano solo quando quello stesso lavoro lo affiancano e lo integrano in un modo intelligente. Contrariamente a quanto si pensava fino a poco tempo fa l’uso intelligente della robotica può dare un notevole impulso all’occupazione (soprattutto giovanile), invece che sostituirla e penalizzarla. Ormai si è capito che si creano più posti di lavoro di quanti se ne perdono nel cercare di permettere alle macchine di migliorare prestazioni che un tempo assoggettavano gli esseri umani al rango di automi (il concetto del “taylorismo” nelle fabbriche). Tanto più se poi l’energia utilizzata per farle funzionare è rinnovabile e non più ricavata dalle fonti fossili. Come sempre vale il principio di come si usa la tecnologia e non la tecnologia in se e per se. E non a caso, anche in questo caso, le soluzioni stanno arrivando dalla Natura. Perché i robot non potranno mai eguagliare e sostituire allo stesso livello le prestazioni degli esseri umani e degli animali, non disponendo della loro incredibile flessibilità di adattamento, ma nonostante ciò un nuovo percorso è già iniziato.
Le proboscidi degli elefanti non hanno ossa, ma hanno le stesse funzionalità che hanno le braccia per gli esseri umani (che non funzionano senza le ossa): anzi, a ben vedere sono organi che hanno una capacità di gran lunga superiore alle nostre articolazioni. Le proboscidi sono formate da un unico tronco articolare composto da circa 40.000 fasci muscolari che lavorano insieme per fornire a quest’organo ogni tipo di funzionalità: per mangiare (ingerendo anche patatine fritte una ad una), per bere (anche 12 litri di acqua per ogni “sorso”), per farsi la doccia, per scacciare insetti e parassiti, per comunicare con i loro simili, per “lavorare” a servizio dei padroni (parliamo di quelli addomesticati), per sostenere a sbalzo pesi impossibili per un uomo (fino a 350 kg), per giocare con i loro cuccioli e per difenderli dalle aggressioni. Quest’appendice muscolare è cosi flessibile dal punto di vista tridimensionale che permette all’elefante di raggiungere quasi ogni punto nel suo intorno. Gli organi muscolari senza ossa e articolazioni comunque son sono una esclusività, un “brevetto”, degli elefanti. Ci sono anche le lingue dei serpenti e le braccia dei polpi, che vengono chiamati idratati muscolari, proprio perché invece che con le ossa si auto-sostengono con una complessa disposizione di fibre muscolari. Disposizione che consente loro di muoversi mentre il volume d’acqua all’interno degli stessi muscoli rimane costante.
Esattamente quello che prevede il primo principio della termodinamica. L’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un’altra: l’energia in sostanza può essere trasferita attraverso scambi di calore e di lavoro. All’azienda tedesca “Festo” non è sfuggita questa potenzialità. Invece dei muscoli e dell’acqua, il loro design utilizza camere di plastica vuote riempite d’aria che vengono gonfiate e sgonfiate per controllare i movimenti del braccio robotico e dargli una gamma di movimento simile al tronco della proboscide. I bracci-proboscidi pieni d’aria sono anche molto più sicuri verso i lavoratori (umani) con i quali possono interagire. La mano pneumatica robotica è solo l’inizio di un lungo percorso molto interessante. E mentre alcuni esseri umani hanno deciso di utilizzare i robot per esplorare Marte (pur sapendo che la vita è impossibile su quel pianeta) è sicuramente una buona scelta quella di verificare cosa possono fare altri robot per questo pianeta e per la specie umana che l’ha colonizzato.
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