Il 20 agosto 2018, una ragazzina svedese, da sola, iniziò a scioperare davanti al Parlamento della Svezia contro i cambiamenti climatici. Dopo tre anni però, malgrado l’effetto di mobilitazione mondiale creato da quello sciopero e nonostante le promesse fatte da tutti i leader del mondo, poco o nulla è cambiato: a svelare questa poco edificante messa in scena è stata proprio la pandemia da Covid 19. Quel giorno Greta Thunberg doveva iniziare il suo terzo anno di scuola media a Stoccolma e a chi gli chiedeva che cosa stesse facendo lì, solitaria e sotto la pioggia, rispose che non sarebbe tornata a scuola fino al 9 settembre, il giorno indicato per il rinnovo del Riksdag, il Parlamento svedese. In quell’estate, come ormai avviene sempre più spesso in tutto il mondo, in Svezia erano scoppiati incendi boschivi molto gravi a causa di una forte ondata di caldo. Greta decise che non si poteva più aspettare con le mani in mano che la politica doveva fare qualcosa. Quel giorno, invece di andare a scuola, si presentò al mondo intero con il suo cartello che poi l’avrebbe resa famosa su scala globale con su scritto “Skolstrejk för klimatet” (“sciopero scolastico per il clima”) per chiedere al suo governo di ridurre le emissioni di carbonio in base all’accordo sul clima di Parigi, siglato nel dicembre 2015.
Quelle elezioni sono state vinte poi dal partito socialdemocratico guidato dal primo ministro uscente Stefan Löfven che ha costituito una coalizione di governo insieme ai Verdi-Ambientalisti. E cosi Greta Thunberg, nel frattempo assecondata e circondata nelle sue richieste dai suoi compagni di scuola, annunciò che avrebbe continuato a scioperare ogni venerdì: in quel giorno della settimana, niente scuola e tutti in piazza a protestare fino a quando non si sarebbero prese le decisioni annunciate. Lo sciopero per il clima, come sappiamo, ha iniziato ad attirare l’attenzione dei media e in pochissimo tempo gli studenti di tutto il mondo a loro volta hanno iniziato ad organizzare scioperi sull’emergenza climatica in corso: fu l’avvio del movimento “Friday For Future” che in quel momento però sembrava poco rilevante. Il 24 maggio 2019, appena 9 mesi dopo quello sciopero solitario, si sono tenute contemporaneamente 1.600 manifestazioni in altrettante città del mondo. Un’altro sciopero del 15 marzo 2019 ha poi mobilitato oltre 1,4 milioni di giovani in 125 paesi e 2083 città. E’ nato
in questo modo il primo “movimento planetario”, apolitico, pacifico e indipendente, intorno al valore del bene comune rappresentato dal clima: un evento che non ha precedenti nella storia umana. La pressione sui governi di tutto il mondo per combattere la crisi climatica si fece subito fortissima.
L’obiettivo del movimento era ed è quello di far attuare le misure che limitino l’aumento del riscaldamento globale complessivo a meno di 1,5°C. In particolare i giovani manifestanti e scioperanti chiedono a governi e legislatori di porre fine all’estrazione di combustibili fossili come primo fondamentale passo verso la transizione energetica. Per questo occorre abolire i sussidi per la produzione di combustibili derivati dal petrilio, il gas naturale e (soprattutto) il carbone. Allo stesso tempo bisogna aumentare gli investimenti nelle energie rinnovabili e rispettare i tempi di attuazione degli interventi previsti dall’accordo di Parigi. In ogni singola nazione il movimento Fridays for Future ha proposto degli obiettivi specifici ai propri governi: in Germania, ad esempio, al governo guidato da Angela Merkel sono state presentate diverse richieste: emissioni nette di CO2 pari a zero entro il 2035, fine dell’uso del carbone come combustibile per produrre energia entro il 2030, fornitura di energia al 100% da energie rinnovabili entro il 2035 e una tassa sulla CO2 di 180 euro per tonnellata di anidride carbonica emessa in atmosfera. La stessa cancelliera ha poi dichiarato agli scioperanti per il clima che “…è positivo che ci stiate facendo pressione”. Sembrava che il movimento potesse raggiungere i suoi obiettivi in un tempo cosi breve che neanche si poteva immaginare qualche mese prima. Ma poi, a “calmare le acque” è arrivata la pandemia da coronavirus. E come è oggi lo stato dell’arte.
Nelle scorse settimane è stato pubblicato il 70° rapporto sulla “Revisione statistica dell’energia mondiale” (curato dalla compagnia britannica British Petroleum) che considera anche i livelli di emissioni annuali da combustibili fossili. Da questo documento emerge con estrema chiarezza che, ancora nel 2021, l’83% della domanda mondiale di energia è ancora coperta dalle fonti fossili. A questo si deve aggiungere un altro 4% da fonte atomica (che è pur sempre un’altra fonte fossile), mentre tra le fonti rinnovabili l’idroelettrico copre il 7% e solo il 6% dell’energia globale viene prodotta con le turbine eoliche, gli impianti fotovoltaici, le centrali geotermiche, ecc. Dal rapporto emerge anche che il carbone, il più famigerato dei combustibili che alterano il,clima, non è affatto in fase di dismissione: in molti paesi, prima tra tutti la Cina, è in corso la costruzione di nuove centrali che utilizzeranno proprio questa fonte come combustibile. Il petrolio costituisce ancora la fonte energetica più utilizzata con il 31% a livello globale, seguono proprio il carbone con il 27% e il gas naturale con il 25%. La cosa interessante da notare (drammatica rispetto a quanto chiesto dai ragazzi del movimento) è il fatto che il peso percentuale complessivo dei combustibili fossili è calato di 6 punti percentuali tra il 2010 e il 2020, ma la parte più importante di questa diminuzione si è verificata a seguito dello scoppio della pandemia da Covid 19. La chiusura di tutte le attività, gli inviti a restarsene a casa e ad uscire solo in caso di necessità, hanno fatto diminuire il consumo di energia primaria nel mondo del 4,5% nel solo anno 2020: il calo maggiore registrato dalla fine della seconda guerra mondiale. Senza questa drastica diminuzione, il liveloi dei consumi da fonti fossili sarebbe calato appena dell’1,5% rispetto a dieci anni fa. I dati dimostrano che, una volta passata l’emergenza sanitaria, si tornerà nuovamente nel pieno dell’emergenza climatica, come se nulla fosse accaduto. Ecco perché è auspicabile, dopo tre anni di inutili promesse, che i ragazzi (almeno loro) tornino a scioperare il prima possibile davanti ai parlamenti di tutto il mondo.
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