Nei paesi occidentali solo il 2-5% dei potenziali elettori si occupa di politica. Sono per lo più iscritti ai partiti, spesso senza alcuna motivazione particolare, ma semplicemente per partecipare alla spartizione del potere, fosse anche solo la promessa di un incarico di rilievo nella gestione di un ospedale o l’assegnazione di una casa popolare. Questa può essere considerata l’emergenza più acuta tra le tante emergenze che stiamo affrontando in questo difficile periodo storico. I governi allestiti con partiti formati in questo modo sono ormai così disconnessi dai loro elettori, così autoreferenziali e chiusi nelle loro stanze di potere, che stanno accumulando un mare di guai non solo al pianeta e a tutti noi, ma anche a loro stessi. Nella zona in cui viviamo (Latina, in Italia) ormai quasi settimanalmente riceviamo notizie di politici arrestati e indagati per corruzione e voto di scambio organizzato persino d’intesa con la criminalità organizzata locale. Criminalità che può vantare (lo stanno rivelando alcuni collaboratori di giustizia incarcerati) l’elezione di loro “amici” nel parlamento europeo, ma anche in quello nazionale e regionale. Altri criminali globali poi condizionano l’esito di elezioni nazionali e locali attraverso la manipolazione dei social media e con la creazione di false informazioni tese a suscitare indignazioni e paure irrazionali (vedi lo scandalo “Cambridge Analytica” e l’assalto alla sede del Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio scorso).
Il risultato è che le persone si guardano bene e si rifiutano dal partecipare alla vita politica sia perché si sentono poco o per nulla rappresentate, sia (soprattutto) perché si sentono impotenti di fronte a questa realtà. A sviluppare ancor di più queste frustrazioni poi ci si è messo anche l’ormai prossimo fallimento (in alcuni casi già avvenuto) di quei movimenti sorti come nuove forme sperimentali di organizzazione politica che, proprio attraverso la rete di Internet e gli stessi social media, hanno saputo convogliare la forte domanda di cambiamento che veniva dalla base: parliamo del Movimento 5 Stelle in Italia, di Podemos in Spagna, del “Partito dei Pirati” in alcuni paesi del Nord Europa e di altri ancora. Anche in queste esperienze, che hanno tentato di introdurre nuove forme di democrazia attraverso l’uso della tecnologia (nota con la definizione di “democrazia liquida”) il problema è stato lo stesso che ha portato i partiti all’autoreferenzialità: la mancanza di partecipazione dei cittadini all’attività politica. Attività che è fatta di impegno, di passione e di competenze. E’ questa una crisi irreversibile? No.
Proprio partendo da quest’ultima considerazione si sta manifestando un pò in tutto il mondo un nuovo modo di fare politica dove le persone non vengono considerate solo come soggetti vulnerabili alla manipolazione (magari con un clic sul computer su una scelta già predeterminata dall’alto). Vengono invece considerate come la potenziale fonte delle migliori risposte da dare ai problemi collettivi, con specifico riguardo alle competenze di ciascuno: l’esatto contrario dell’azione dei governi dei partiti che ormai non rappresentano più nessuno e che ricorrono sistematicamente ai “Think Tank”, ai CTS (Comitati Tecnico-Scientifici) e alle scuole di pensiero degli esperti di turno (magari in perenne contrasto tra loro). Questo nuovo modo di fare politica (ne abbiamo riportati molti di esempi su questo sito – vedi a fondo pagina), basato essenzialmente sul concetto dei beni comuni, non a caso si sta affermando soprattutto a livello locale: cioè a quel livello dove il contatto diretto tra rappresentanti e rappresentati è sia una necessità che un’opportunità di cambiamento. Se applicato bene questo modello è facilmente replicabile in ogni luogo. Abbiamo fatto una sintesi delle esperienze realizzate finora e questi sono i passaggi chiave da considerare per chi vuole replicarle e imitarle. Nella foto qui a sinistra Andy Wrintmore, 28 anni, attuale Sindaco “Punk” della città di Frome, in Inghilterra, che è considerata l’esperienza simbolo di questo nuovo modo di fare politica.
Abbattere un sistema è molto più facile che costruirne uno nuovo e quindi il progetto politico deve partire da cosa si vuole realizzare al posto di ciò che si intende eliminare (è il problema sul quale si sta autodistruggendo a sua volta il Movimento 5 Stelle in Italia). Bisogna quindi strutturare una piattaforma politica (all’inizio basta un sito Internet) e non un nuovo partito/movimento politico. Nella piattaforma possono confluire posizioni identitarie diverse e distanti tra loro, ma comunque orientate alla propositività piuttosto che alla negatività; anzi, coloro che si rappresentano solo con interventi di “rottura e abbattimento” con il passato, di solito sono i primi ad essere relegati nelle stanze del dimenticatorio e dell’indifferenza. La piattaforma può essere organizzata anche da un gruppo di amici che condividono la stessa passione per e che vogliono presentarsi alle elezioni amministrative.
Meglio sarà se a far partire la piattaforma saranno le associazioni di volontariato e dai comitati civici locali: tutta gente che da sempre fa politica, ma non dentro i partiti e non per ottenerne vantaggi personali. Basta un incontro al bar tra i loro referenti appositamente delegati allo scopo dalle assemblee delle loro organizzazioni. Le associazioni e i comitati che si dichiareranno non interessati e di non essere inclusi nel progetto, vuol dire che hanno già fatto la loro scelta di “non cambiamento”. Il discorso vale anche su base individuale: chi partecipa rivendica il diritto di cambiare le cose, chi non partecipa a sua volta dichiara indirettamente che, per un motivo o per l’altro, quel cambiamento non gli appartiene e non gli interessa. Comunque si costringono le persone a fare delle scelte lasciando il minor spazio possibile all’indifferenza. Per coerenza interna la piattaforma dovrà rappresentare, da un lato la genesi e l’evoluzione attuale dei problemi da affrontare (non solo di chi li ha causati e come – a quello eventualmente ci deve pensare la Magistratura), mentre dall’altro dovrà occuparsi delle soluzioni. Queste verranno poi votate da tutti gli aderenti al progetto e quelle che otterranno il maggior consenso diventeranno il programma amministrativo delle liste che lo sosterranno.
Le iniziative di socializzazione saranno l’altra colonna portante del progetto (ricordarsi che costruire è più importante che abbattere): per iniziative di socializzazione non si intendono solo cene, feste e occasioni di intrattenimento leggero, ma soprattutto laboratori politico-tematici e pratiche creative per soluzioni dirette: piantare alberi e ripristinare aree verdi in luoghi abbandonati della città, giornate di inserimento e condivisione culturale nelle periferie (le più soggette alla non partecipazione al voto), incontri su come e su cosa spendere con i fondi che saranno stanziati con il bilancio partecipativo, individuare le priorità nelle manutenzioni non strettamente connesse all’ordinaria attività degli uffici (ad esempio la ristrutturazione di un edificio identitario per la comunità) e altre cose del genere. In ultimo, ma in ordine di importanza sarebbe il caso di effettuarla contestualmente alla definizione della piattaforma, c’è la candidatura alla carica di primo cittadino. La procedura più promettente è sicuramente quella seguita a Barcellona nel 2014 con la scelta di Ada Colau a rappresentare l’intero progetto di “Barcelona en Comù, attraverso una “candidatura di convergenza”: anche in questo caso, l’esatto contrario delle candidature di divergenza proposte da partiti che ormai non rappresentano più nessuno. Quelli ai quali sta bene che ad occuparsi di politica siano al massimo il 2-5% degli elettori.
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