Investire esclusivamente sulle fonti energetiche rinnovabili i soldi che non vengono più investiti sui combustibili fossili. L’obiettivo generale non è difficile da comprendere, ma finanziare la transizione ecologica dell’economia non è una cosa semplice. Occorrono buone idee per trovare da qualche parte il denaro necessario ad incrementare l’installazione di impianti per generare sempre di più energia pulita a scapito dell’energia sporca. Ma le buone idee per trovare i soldi da sole non bastano, ci vogliono anche delle scelte politiche efficaci. Difficilmente le grandi aziende energetiche spegneranno le loro centrali termoelettriche, magari costruite da poco, entro il 2030 e il 2050, per far rispettare gli impegni presi con gli accordi internazionali sul clima. C’è poi da considerare che in molti paesi i governi nazionali e locali stanno puntando alla realizzazione di grandi campi fotovoltaici che consumano tanto suolo agricolo e impianti eolici in mare aperto di grandi dimensioni. Quando il sole e il vento non ci sono, questi sistemi non producono neanche un chilowattora, ma intanto gli interessi da pagare sul finanziamento, vanno avanti e in molti casi aumentano pure. Questo significa impegnare consistenti risorse economiche che poi hanno tempi molto lunghi per l’ammortamento e il ritorno dell’investimento.
Ma c’è anche una importante verità finanziaria che viene tenuta nascosta all’opinione pubblica: il solare di proprietà del cliente può competere con il solare su scala industriale sul prezzo, perché i clienti pagano i costi di capitale limitati e il solare distribuito fornisce più valore alla rete rispetto agli impianti solari centralizzati.
I sistemi su piccola scala e dislocati a forma di rete infatti, tipo i pannelli installati sui tetti e nei giardini delle nostre case anche dei nostri vicini, si stanno dimostrando come degli ottimi affari per le comunità locali persino in ambito rurale. Il problema sta nel fatto che l’accesso al capitale di finanziamento è molto difficoltoso da parte di coloro che non possono permettersi la proprietà diretta dell’impianto solare, pur avendo edifici disponibili. Per questo, soprattutto negli USA, stanno diventando sempre più comuni le politiche che consentono a un individuo o a un’azienda di far posizionare a società pubbliche specializzate dei pannelli solari sulla sua proprietà. Il contratto poi prevede che la società specializzata paghi un affitto al proprietario (o a chi comunque detiene l’immobile) che poi a sua volta, per un determinato periodo di tempo, acquista l’energia ad un prezzo fisso. L’acquisto quindi avviene dal produttore locale e non più da una grande azienda elettrica lontana centinaia di chilometri. Di fatto con la bolletta ci si paga anche il finanziamento e alla fine ci guadagnano sia il proprietario dell’immobile che il fornitore dell’energia elettrica: fornitore che resta comunque in mano pubblica per tutta la durata del contratto. Con questo modello di “proprietà terze” si eliminano da un lato le barriere iniziali dei costi di installazione e di manutenzione e dall’altro si allarga anche il numero delle persone che possono usufruire sia dei finanziamenti che degli incentivi statali. Il tutto evitando i costi della distribuzione dell’energia su vasta scale e con i grandi impianti energetici.
Non a caso ad accompagnare questa “rivoluzione” dell’energia democratica ci si sono messe anche alcune banche etiche che per statuto debbono finanziare solo progetti sostenibili sia sotto il profilo sociale che ambientale. Con la raccolta collettiva di capitali per un progetto di energia rinnovabile di proprietà locale, una sorta di crowdfunding, gli investitori e i fruitori dell’investimento coincidono nelle stesse persone che quindi hanno tutto l’interesse affinché le cose funzionino bene, senza alcun tipo di speculazione sul capitale prestato. Ben presto quindi anche queste banche si sono accorte che alla fine ci guadagna l’intera comunità, ma solo se gli impianti solari ed eolici vengono realizzati in rete a livello locale. Non si pagano in tal modo neanche le spese di “trasporto” dell’energia elettrica con i costosi elettrodotti per l’alta tensione e sostenuti da tralicci metallici che, tra l’altro, a loro volta hanno bisogno di tanta manutenzione. In questo modo cresce anche il numero di posti di lavoro, la gente non deve più respirare aria inquinata prodotta dalle fonti fossili, non ci sono più emissioni né di gas serra, né di radiazioni elettromagnetiche e i ritorni economici complessivi sono di gran lunga più alti rispetto all’acquisto dell’energia elettrica comprata dai colossi energetici, anche se la producono con grandi impianti eolici e fotovoltaici e anche se spendono un sacco di soldi per il “greenwashing”. La svolta è anche di carattere politico. Le amministrazioni comunali più avvedute hanno cominciato ad incentivare questi progetti non solo economicamente, ma anche rispetto a tutti i passaggi burocratici necessari per realizzarli in breve tempo, mentre per un grande impianto c’è sempre bisogno di una lunga fase di valutazione dell’impatto ambientale. Non c’è più quindi neanche bisogno che la gente scenda in piazza per manifestare per la salvaguardia delle loro proprietà e a tutela della loro salute. E probabilmente è questo il vantaggio maggiore di questa “rivoluzione”: la pace sociale. Solo sei anni fa negli USA queste iniziative erano pressoché assenti, mentre alla fine del 2020 (malgrado la pandemia) erano arrivate a più di 10 mila. E i numeri, nel settore finanziario come nella politica, sono sempre quelli che hanno ragione.