Unire le risorse fisiche e mentali, sia naturali che artificiali, incluse le risorse materiali e finanziarie per raggiungere uno scopo comune. Questo in estrema sintesi è lo spirito cooperativistico che in questo periodo di pandemia da Covid 19 viene riscoperto sempre di più dalle comunità, anche nei paesi più ricchi del pianeta, per garantire un’occupazione, un reddito o una qualche forma di sostegno economico reale (non assistenza) alle persone. Diventa sempre più chiaro che questo spirito, che rappresenta l’esatto contrario dell’individualismo sfrenato, è la chiave più importante (forse l’unica) che potrà garantirci un’economia sostenibile: non solo in senso ambientale, ma anche e soprattutto in senso sociale. Ed è affascinante, oltre che curioso, incontrare le tante storie di gruppi motivati da questo spirito che avviano iniziative per incentivare i cittadini ad agire in modo sostenibile. Tra queste iniziative ce ne sono un paio, entrambe realizzate in Inghilterra, che si raccontano da sole.
La prima è stata avviata circa quattro anni fa in due zone contigue di quel paese, quella di Newcastle-under-Lyme e quella di Stoke-on-Trent, e sta avendo molto successo soprattutto per la sua originalità: è la moneta complementare chiamata CounterCoin (contatore di monete). Nell’immagine qui di fianco il suo inventore Mike Riddell e una componente della Cultural Squatter’s comunity cafè che l’adottato per prima. E’ una sorta di valuta alternativa abbinata ad un programma che ricompensa ogni forma di volontariato e incentiva le azioni delle comunità al rispetto delle persone e dell’ambiente. Il meccanismo è praticamente identico a quello delle tessere a punti adottato dalle catene dei supermercati per fidelizzare i clienti, ma invece di guadagnali con gli scontrini della spesa i punti si ottengono facendo qualcosa di utile per i bisognosi e per la comunità. L’ispirazione cooperativistica di base, veramente geniale, è un’applicazione al contrario della filosofia economica dei voli a basso costo (low cost). Cioè quella di riempire tutti i posti disponibili su un aereo, facendo compiere più volte la stessa tratta allo stesso aeroplano, garantendo solo i servizi minimi ai passeggeri, imponendo dimensioni e peso dei bagagli molto ristrette e pagando poco gli addetti, al fine di spuntare prezzi altamente concorrenziali. Il CounterCoin funziona in modo simile ma con obiettivi sociali diametralmente opposti e che riesce persino a salvare attività in crisi e attivare nuovi piccoli business. L’obiettivo finale è sempre quello di evitare gli sprechi, riusare cose scartate dal mercato, che si tratti di edifici, merci e/o di persone, ricavandone dei guadagni diretti e indiretti, ma pur sempre collettivi. Se un cinema, ad esempio, non riesce a vendere tutti i biglietti per i posti disponibili in sala ad ogni proiezione, gli resta disponibile dello spazio per il quale comunque deve pagare l’affitto, il riscaldamento e le pulizie. Poco prima della proiezione, circa un’ora, per riempire tutti i posti rimasti liberi il gestore può ricorrere al CounterCoin che fa accumulare punti per il tempo impegnato dalle persone a fare volontariato nella comunità. Si valorizza cosi quel lavoro che produce comunque un vantaggio sia sociale ed economico alla collettività.
Questi punti corrispondono a valuta contante e quindi il biglietto del cinema anche se non può essere pagato interamente con questa moneta alternativa, consente comunque di poter saldare in moneta corrente solo la differenza: se il biglietto costa 6 sterline, ne bastano due e il resto sono CounterCoin. Il tutto viene gestito attraverso un’applicazione messa a punto dall’organizzazione che ha inventato il sistema, anche per garantire che non ci siano abusi e inconvenienti (due prenotazione dello stesso posto), comunque non svalutando allo stesso tempo il prezzo pagato dai frequentatori abituali del cinema.
Ben presto gli organizzatori si sono accorti che questo un nuovo modo di incentivare, riconoscere e premiare l’azione della comunità e il volontariato poteva andare bene a tutte le attività che hanno frequentatori abituali: sale da bowling, teatri, negozi e persino ex centri commerciali (che adesso si chiamano centri post-commerciali). Cosi si sono accordati con una società di consulenza, la HomeTownPlus, che aiuta a creare una valuta locale e che a sua volta premia ovunque le iniziative di volontariato, guidando le rispettive comunità nella loro missione cooperativa. Per dare una mano all’associazione caritatevole YMCA per organizzare un seminario, ad esempio, si ottiene moneta alternativa che da diritto a frequentare la pista da bowling del quartiere, anche se non nelle ore di punta. Gli stessi punti possono essere usati per avere sconti al negozio di alimentari vicino per il cibo ormai prossimo alla scadenza (l’opposto di ciò che fanno i supermercati) e così via. I punti quindi si ottengono facendo del bene e non per spendere sempre di più rispetto a quello che si è già speso. Non a caso sono proprio i poveri e le persone a basso reddito quelle che ne stanno traendo il maggior beneficio.
Altra storia di imprese cooperative sociali è il gruppo chiamato Real Ideas Organisation (RIO) di Plymouth-Devonport, sempre in Inghilterra, dove molti edifici storici erano ormai stati abbandonati da decenni. Per uno di questi, il Guildhall, vista la siituazione in cui si trovava, le autorità locali dissero all’amministratrice delegata dell’organizzazione (Lindsey Hall) che non aveva alcuna importanza che cose ne avrebbe fatto, bastava solo che se lo prendesse in carico. Anzi gli hanno anche fornito una sovvenzione di 1,75 milioni di sterline per ristrutturalrlo. Anche in questo caso l’idea dell’impresa è stata completamente rovesciata in senso cooperativistico, quindi non per fare profitti “tout court”, ma utilizzarli per il bene comune. All’epoca le imprese sociali erano ancora una novità, ma ben presto sono diventate la forza trainante dell’intera economia locale. L’assenza di lucro ha fatto la differenza.
Come ha riferito il quotidiano inglese The Guardian, a Plymouth fino a tre anni fa c’erano 150 imprese sociali che impiegavano oltre 7.000 lavoratori e che guadagnavano un reddito complessivo di oltre 500 milioni di sterline. Questi numeri sono ulteriormente aumentati con lo scoppio della pandemia.
Dunque: noi insistiamo sempre con la nostra tesi. Non è il lavoro che manca, ma i modi per retribuirlo e questi esempi fanno bene prima di tutto al cuore delle persone e delle comunità, prima ancora che all’economia.