Bisogna cominciare a far quadrare questi numeri. Nelle città si consuma attualmente circa il 70% dell’approvvigionamento alimentare globale. In molte regioni del pianeta l’urbanizzazione della popolazione è in continuo aumento e conseguentemente cresce anche la domanda di cibo, mentre quasi un terzo di ciò che è stato prodotto per il consumo umano viene sprecato. Dopo anni di tendenza positiva, nell’ultimo periodo, anche prima della pandemia da Covid 19, è tornato a crescere il numero delle persone al mondo che soffreno la fame e la malnutrizione. Dall’altra parte sta crescendo anche il numero delle persone obese e in sovrappeso. La produzione di cibo, soprattutto con gli allevamenti animali, costituiscono la maggior fonte di emissioni di gas serra: il 26% del totale. Buona parte di queste emissioni è causata dal trasporto del cibo dai luoghi di produzione a quelli di consumo: la globalizzazione alimentare produce una quantità di emissioni che costituisce il doppio rispetto al consumo di prodotti locali. Queste emissioni sono causate sia dai trasporti intercontinentali che dalla logistica legata alla catena della refrigerazione/conservazione degli alimenti. Nei fiumi, nei mari e negli oceani poi finisce circa la metà degli elementi chimici contenuti nei fertilizzanti perché lo stress nutrizionale indotto permette alle piante di assorbire appena il 50% dell’azoto e del fosforo.
Questi elementi chimici costituiscono la principale causa della proliferazione delle alghe, dell’eutrofizzazione e della carenza di ossigeno nei laghi e nelle zone costiere. La costipazione del terreno indotto dall’uso di macchine sempre più pesanti sta determinando crescenti cali di produttività e perdite di rendimenti delle colture. Tutto questo senza contare l’ulteriore perdita di biodiversità che si sta realizzando in ogni angolo del mondo con queste pratiche agricole insostenibili.
Il fatto che non si può andare avanti cosi ormai lo sanno tutti, anche chi continua a propugnare questo sistema alimentare. Per questo occorre organizzare un sistema completamente diverso che metta insieme le migliori pratiche esistenti e che, con una visone olistica, affronti e risolva ogni singolo aspetto di un unico grande problema globale. E per fortuna c’è già chi lo sta facendo. Le informazioni che seguono sono tratte da uno specifico rapporto redatto dall’ICLEI – Local Governments for Sustainability: una rete globale di oltre 2.500 governi locali e regionali impegnati per lo sviluppo urbano sostenibile e attivi in 125 paesi: l’organizzazione si occupa della politica sulla sostenibilità e cerca di guidare l’azione locale per uno sviluppo a basse emissioni, basato sulla natura, l’equità, la resilienza e la circolarità dell’economia.
Dunque, per prima cosa bisogna individuare quali sono le migliori pratiche sia dal lato del consumo che della produzione e, possibilmente, se sono state facilitate da scelte politiche effettuate delle amministrazioni locali: ad esempio con l’adozione di specifici regolamenti. Questo primo rapporto dell’ICLEI sul tema, elaborato nei paesi dell’Est asiatico, ha posto in cima alla classifica delle migliori pratiche di consumo una città simbolo per il mondo intero: Hiroshima, in Giappone. Nell’ambito della revisione del piano per la gestione del ciclo dei rifiuti già nel 2005 il governo locale ha stabilito gli obiettivi che ogni utenza deve raggiungere nella riduzione del cibo che viene buttato nella spazzatura. Se non viene raggiunto l’obiettivo, l’utenza viene penalizzata con l’aumento della tassa per lo smaltimento. Il concetto è sostanzialmente quello di far capire alle persone e alle imprese la contraddizione rappresentata dagli sprechi alimentari. E’ come se qualcuno ci dicesse: “Hai già pagato per acquistare un cibo che incorpora anche un grave danno all’ambiente e pertanto pagherai sempre di più se mi costringi a smaltirlo come rifiuto con altri danni ambientali, anche se solo potenziali.” Questa impostazione però non è solo “punitiva”: molto più importante è stato il coinvolgimento attivo delle persone e imprese per il riutilizzo del cibo avanzato prima che diventi un rifiuto. Il governo della città di Hiroshima ha cosi organizzato un modello di cooperazione tra le diverse parti interessate che viene gestito da un Comitato Esecutivo per la Riduzione dei Rifiuti e Raccolta Differenziata. Il Comitato si occupa della adesione di ristoranti, hotel e imprese alimentari alla campagna di cooperazione “Negozi zero avanzi”. In pratica si coinvolgono ristoranti e alberghi per rispettare almeno tre di 12 regole di riduzione degli sprechi. Quelle più gradite sono è quella di progettare un menu con piccole porzioni e quella di accettare la richiesta dei clienti di portare a casa gli avanzi. Cosi i c
ittadini sono incoraggiati a ordinare una quantità moderata di cibo o a portare a casa i piatti non del tutto consumati. Prima questo non era consentito per la preoccupazione sull’intossicazione alimentare, ma anche su questo è stato attivato un percorso di sensibilizzazione. Ai rivenditori di generi alimentari inoltre viene indicato di introdurre schemi di vendita in base al peso e non a vaschetta preconfezionata e comunque con imballaggi di piccolo taglio. Ai consumatori che frequentano questi negozi viene consentito cosi di acquistare la quantità giusta di cibo che gli occorre per il tempo necessario fino al successivo acquisto: vengono anche forniti consigli per conservare adeguatamente il cibo fresco con tecniche di gestione del frigorifero.
Con appositi incontri tenuti soprattutto da donne anziane, ai cittadini viene insegnato come consumare prodotti stagionali che determinano poco scarto nella preparazione, mentre l’Università locale si occupa di verificare quali menù si avvicinano di più al concetto di “zero avanzi”. Fondamentali in tutta l’organizzazione sono i gruppi di volontariato che gestiscono banche alimentari locali e le organizzazioni di assistenza sociale in cui i cittadini possono donare cibo per sostenere i più bisognosi. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche nell’altra città giapponese di Sapporo. Segno evidente che il modello è replicabile ovunque dove ci sia la volontà politica per applicarlo.
Con un prossimo approfondimento su questo sito vedremo come le città, persino le metropoli con milioni di abitanti, possono raggiungere obiettivi ambiziosi nell’evitare gli sprechi nella fase della produzione di cibo: partiremo da Seoul, la capitale della Repubblica di Corea, che punta a diventare anche la capitale mondiale dell’agricoltura urbana.
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