Il tempo passa e anche quest’anno, malgrado la pandemia, verranno immesse nell’atmosfera oltre 50 miliardi di tonnellate equivalenti di carbonio. Tutti i paesi del mondo, almeno a parole, si sono impegnati a portare a zero queste emissioni entro il 2050, con l’obiettivo di mantenere le temperature entro di 1,5 gradi centigradi di aumento rispetto ai livelli preindustriali. L’Unione Europea in particolare, con l’approvazione del New Green Deal si è impegnata a ridurre entro il 2030 le proprie emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990. Ormai non c’è alcun dubbio che il raggiungimento di questi obiettivi è fondamentale per prevenire i peggiori effetti dell’emergenza climatica in corso. Abbiamo quindi bisogno di idee rivoluzionarie per raggiungere tale obiettivo in modo rapido, semplice e replicabile ovunque. Dall’altra parte il modello “usa e getta” fin qui adottato a livello globale, sta esasperando la scarsità delle risorse disponibili, oltre a distruggere i servizi ecosistemici, creando allo stesso tempo gravi problemi alla nostra salute. Le idee di cui abbiamo bisogno quindi, non solo devono rispettare i criteri dell’economia circolare, ma devono anche sostituire nel tempo più breve possibile questo modello economico estremamente costoso e inquinante. Bisogna quindi riallocare in modo corretto e su buone idee, tutti quei soldi che oggi stiamo letteralmente buttando al vento.
Riassorbire l’anidride carbonica con gli alberi attraverso la forestazione e ri-forestazione di ampie aree disponibili sul pianeta (anche desertiche, come abbiamo visto negli articoli Il lavoro del futuro è nella Natura: la riforestazione della Terra e Abbattere le emissioni dei gas serra in poco tempo è già possibile) è un’ottima soluzione, ma non è l’unica. Si potrebbero ottenere ottimi risultati per il sequestro dell’anidride carbonica direttamente nei suoli agricoli con la realizzazione di coltivazioni specifiche. Sia gli studi scientifici che le di applicazioni pratiche hanno ormai dimostrato che mantenendo il suolo coperto, si aumenta il tasso di quello stesso carbonio organico che con il suolo nudo si sarebbe progressivamente volatilizzato (è uno dei princìpi su cui si basa la permacoltura). Con le coltivazioni di copertura si riesce a sequestrare circa 0,32 tonnellate di carbonio per ettaro all’anno. Vuol dire che in dieci anni si immagazzina la stessa quantità di carbonio che potrebbe stoccare un albero adulto di grandi dimensioni, tipo una quercia, ma in tempi molto più lunghi. Con un particolare che finora è stato poco considerato. Queste coltivazioni aumentano di molto anche la fertilità di quei terreni danneggiati dall’uso massiccio di fertilizzanti chimici, di erbicidi e di pesticidi e potrebbero rappresentare delle soluzioni (come ulteriore elemento innovativo positivo) che vanno attentamente studiate e programmate.
Ad esempio con l’inserimento obbligatorio delle leguminose che insieme al carbonio in eccesso, sono in grado di prelevare dall’atmosfera anche l’azoto: il principale elemento naturale che serve a far crescere erbe e piante. Una programmazione del genere si può realizzare in modo semplice e veloce in tutti gli stati membri dell’UE, ma dove andiamo a prendere i soldi? Esattamente da dove sono stati buttati al vento fino ad ora con una politica agricola comunitaria poco lungimirante (circa un terzo del bilancio dell’UE è dedicato all’agricoltura). E magari aggiungendo anche degli incentivi, tipo i crediti di carbonio, che renderebbero immediatamente sostenibili le conversioni delle aziende sia sotto il profilo ambientale che quello economico. In fondo, gli strumenti per attuare una decisione politica del genere già ci sarebbero, basta aggiustare alcuni dettagli normativi.
Uno di questi è il “Fit for 55 Package” (un pacchetto di interventi di mitigazione) lanciato alla fine dello scorso mese di ottobre dall’UE e che comprende 12 misure per raggiungere proprio l’obiettivo della riduzione del 55% di gas serra in meno entro il 2030. Uno degli interventi cruciali di questo pacchetto, che entrerà in vigore entro quest’anno, riguarda la revisione del mercato delle quote di emissione a cui sono legati i crediti di carbonio. Nel nord America ci sono già da tempo agenzie specializzate (Truterra, Nori e Indigo) che mettono in contatto direttamente gli agricoltori con le aziende acquirenti dei crediti, mentre nel’UE il primo programma del genere è stato lanciato dalla società belga Soil Capital nel settembre dello scorso anno (sito: https://www.soilcapital.com). E’ chiaro però che per incentivare le produzioni erbacee al fine di incrementare lo stoccaggio della CO2 e la fertilità dei terreni agricoli, occorrono strumenti e infrastrutture di misurazione, perché i crediti vanno sempre commisurati ai risultati ottenuti. Ma anche su questo aspetto ci sono già altre aziende, soprattutto nei Paesi bassi, che stanno proponendo soluzioni molto innovative per la misurazione e il monitoraggio dell’accumulo del carbonio nel suolo, inclusi i software di modellazione.
Di fatto, con le strategie “Farm to Fork” e “Biodiversity” l’UE ha già stabilito misure per raggiungere gli obiettivi di fermare il degrado progressivo dei terreni coltivati e per ripristinarne la salute. Quello che manca ancora sono proprio le infrastrutture per il monitoraggio e verifica su larga scala di queste nuove pratiche: sono queste infrastrutture, l’ultimo miglio, che vanno a loro volta incentivate in tempi rapidi. In sostanza, nell’ottica dell’economia circolare gli obiettivi del sequestro del carbonio e dell’aumento della fertilità nei suoli, oggi vicini ma sostanzialmente separati, vanno messi insieme e devono diventare un pilastro per la prossima riforma politica dell’UE. Questa sì che sarebbe una buona idea. Cosi si rispettano anche gli impegni (e sarebbe ora) per valutare e pagare i servizi eco-sistemici e le soluzioni basate sulla natura che finora ci sono state fornite gratuitamente. Sono quei servizi e soluzioni che oggi costituiscono i “beni pubblici” più importanti e necessari che abbiamo a disposizione.
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