Delle circa 6.000 specie di piante coltivate per il cibo nel mondo, meno di 200 contribuiscono in modo sostanziale alla produzione alimentare globale e solo nove rappresentano il 66% della produzione totale. Sono i dati preoccupanti forniti circa due anni fa dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) con il primo rapporto sulla perdita della biodiverità nel pianeta che ci ospita. Circa tre quarti della varietà genetica delle colture mondiali è andata perduta (fino a pochi decenni fa le specie coltivate erano oltre 30mila) poiché gli agricoltori hanno utilizzato sempre più semi ad alto rendimento, ma con relativamente poca diversità genetica: questo senza parlare degli OGM. Oggi circa il 95% delle calorie giornaliere ottenute con il cibo proviene solo da 30 tipi di colture. Queste preoccupanti prove, dice il rapporto della FAO “dimostrano che la biodiversità che sta alla base dei nostri sistemi alimentari sta scomparendo, mettendo a rischio il futuro dei nostri alimenti, dei mezzi di sussistenza, della salute umana e dell’ambiente.” Lo stesso discorso vale per la produzione di carne, latte e uova che vengono ottenute da circa 40 specie animali, rispetto alle 7.745 razze censite nei singoli paesi. Anche in questo caso il rischio di estinzione di molte specie è molto elevato: la stima è 26%. Oltre che dalle scelte alimentari imposte dalla globalizzazione, un contributo determinante a questo disastro lo sta fornendo la distruzione dei servizi eco-sistemici vitali per l’alimentazione e l’agricoltura, compresi gli impollinatori, gli organismi del suolo e i nemici naturali dei parassiti (leggi anche: Servizi ecosistemici: la ricchezza inconsapevole).
Ed è stato proprio dal riconoscimento di questa pericolosa vulnerabilità che è nata l’idea, circa 13 anni fa, di costruire la cosiddetta “Banca dell’Apocalisse”: lo Svalbard Global Seed Vault dove conservare le “copie” dei semi delle piante coltivate in tutto il mondo, come una sorta di archiviazione dei documenti duplicati (backup) nei nostri computer. Un faraonico progetto che si trova nelle isole norvegesi Svalbard (da qui il nome) e del quale all’esterno si vede solo l’ingresso. L’interno è costituito da un tunnel lungo 120 metri, alla fine del quale si trovano le stanze in cui vengono custoditi i semi. Il luogo si trova all’interno del Circolo Polare Artico ed è stato scelto perché, grazie al permafrost e alle rocce sovrastanti, i semi dovrebbero essere mantenuti ad una temperatura costante di -18°C e con bassi livelli di umidità, per garantirne la longevità. La struttura è stata realizzata per preservare il patrimonio agricolo mondiale dalle catastrofi che gli stessi esseri umani stanno provocando a questo pianeta: a cominciare dall’emergenza climatica e dai conflitti bellici. Sul sito dello Svalbard Global Seed Vault infatti ancora oggi si può leggere il motivo dell’iniziativa: “In tutto il mondo, più di 1.700 banche genetiche detengono raccolte di colture alimentari per la custodia, ma molte di queste sono vulnerabili, esposte non solo a catastrofi naturali e guerre, ma anche a disastri evitabili, come mancanza di fondi o cattiva gestione. Qualcosa di così banale come un congelatore mal funzionante che può rovinare un’intera collezione. E la perdita di una varietà vegetale è irreversibile quanto l’estinzione di un dinosauro, animale o qualsiasi forma di vita.”
Pare però che anche questa struttura stia cominciando ad avere problemi con il “congelatore mal funzionante.” I cambiamenti climatici infatti, con le temperature medie che salgono di anno in anno, stanno provocando lo scioglimento del permafrost e dei ghiacciai e già tre anni fa c’è stata una infiltrazione d’acqua nel tunnel, causata dall’inondazione di un’area vicina al deposito. Le fonti ufficiali hanno riferito che non si sono registrati danni, ma se infiltrazione d’acqua c’è stata è evidente che la struttura non è sicura. Per questo il governo norvegese (principale proprietario della società che lo gestisce) è corso ai ripari stanziando circa 4,4 milioni di dollari per la manutenzione e la revisione strutturale del deposito. Meglio non sta andando neanche a causa delle guerre (a proposito di “disastri evitabili”).
Il primo caso di prelievo delle “copie” dei semi originali è stato quello effettuato dall’organizzazione ICARDA (International Centre for Agricultural Research in Dry Area) attraverso la sua sede di Aleppo: una bellissima città siriana martoriata in questi ultimi anni dalla guerra dello Stato Islamico (cosiddetta coalizione dell’ISIS). Prima della guerra in quella storica e rinomata sede erano custoditi 150mila campioni di semi di cereali, alimenti e mangimi. Una sorta di eredità millenaria dei luoghi, la Mesopotamia e il Medio Oriente, dove l’agricoltura è nata circa 8mila anni fa. A causa del conflitto bellico l’ICARDA è stata cosi costretta ad abbandonare la sua gloriosa sede. Di conseguenza la maggior parte dei suoi semi custoditi nel deposito delle Svalbard sono stati riprodotti ma trasferiti, con tre diverse consegne effettuate tra il 2015 e il 2019, presso le sedi di Terbol, in Libano e di Rabat, in Marocco. Tra le mille e settecento organizzazioni mondiali che si occupano della preservazione dei semi, la prima e finora unica banca genetica che ha avuto bisogno di prelevare i campioni depositati in una struttura che non sembra più cosi sicura a causa dell’emergenza climatica, ha riferito che le operazioni di riproduzione e di spedizione si sono svolte regolarmente: i semi sono sani e salvi.
Ma quando quei semi possano tornare nel loro luogo originario di Aleppo, nessuno lo sa.
Intanto però le altre banche dei semi sparse per il mondo, soprattutto quelle organizzate dalle popolazioni native, non sono rimaste a guardare. Quasi per magia, tantissime di quelle 30mila specie commestibili stimate dalla FAO a rischio di estinzione, stanno tornado alla luce grazie alle antiche tradizioni culturali rispettose della natura. Quelli che si vedono nell’immagine di apertura e nella foto qui a fianco, prodotti dall’associazione guatemalteca “Qachuu Aloom” (Madre Terra nella lingua locale) ne sono un classico esempio. Sarà questo l’oggetto di un prossimo approfondimento su questo sito.