Comprare un ghiacciaio in Islanda, per poi imbottigliare e rivendere l’acqua ricavata grazie al riscaldamento globale del nostro pianeta. E’ solo uno dei tanti affari che in questi anni abbiamo visto proporre dalla speculazione finanziaria internazionale che continua a scommettere sulle disgrazie sociali e ambientali che stiamo attraversando. Lo aveva proposto, circa dieci anni fa, un fondo di investimento canadese, il Sextant Capital Management, che aveva acquistato i diritti di utilizzazione del ghiacciaio islandese che poi era stato “rivalutato” del 900% in pochissimo tempo, fruttando enormi profitti. All’epoca era intervenuta la competente commissione regionale di controllo (Ontario Securities Commission) che aveva “congelato” la sopravvalutazione dell’operazione, senza entrare però nel merito. Un affare è pur sempre un affare e nel mondo della finanza quasi nessuno interviene per verificare se operazioni del genere siano moralmente accettabili o meno: di solito lo fanno solo le banche etiche che, proprio per queste ragioni, stanno ottenendo sempre più consenso a livello mondiale. Queste speculazioni infatti vengono sempre nascoste all’opinione pubblica con presentazioni e messaggi attraenti predisposti appositamente per mascherare l’infamia che le sottende.
L’ex multinazionale americana Enron, ad esempio, anni fa aveva promosso una “Banca dell’Acqua” in California, con l’intenzione di vendere il prezioso liquido a clienti pubblici e privati con contratti a lungo termine. Ma poi si scopri che la società che gestiva l’operazione (la Azurix) tratteneva il 20% della capacità di stoccaggio per fini di “scambio e ottimizzazione”. Vale a dire che l’acqua accumulata in riserva veniva venduta sul mercato nei periodi di siccità durante l’anno, quando la domanda superava di gran lunga l’offerta e i prezzi salgono. La Enron, per intenderci, era la stessa multinazionale elettrica americana fallita per bancarotta fraudolenta nel 2002 (dirigenti condannati ad oltre 20 anni di carcere). L’operazione sull’acqua ricorda il sistema con cui la stessa Enron strozzava migliaia di utenti mandando “scientificamente” in blackout intere regioni americane: aprivano e chiudevano il passaggio di elettricità per creare fame di energia e poi alzare il prezzo della corrente. L’operazione sull’acqua è stata ferocemente avversata dalla popolazione locale e il progetto è poi crollato sotto il peso dello scandalo. La gestione del servizio idrico è stata poi affidata ad un soggetto pubblico.
Nessuno immaginava tanta follia e per giunta in danno di intere comunità, spesso povere, ma di casi del genere se ne sono registrati in ogni angolo del mondo: dalla Turchia alla Francia dove hanno sede le due maggiori multinazionali del settore Veolia e Suez (cacciate dalla gestione a Parigi e che attualmente si stanno fondendo tra loro); dalla Malesia al Sudafrica (appalti a suo tempo vinti con il regime razzista dell’apartheid); dal Cile all’Inghilterra, India e Sud America, ecc. Molto spesso, tutte queste operazioni facevano capo a società residenti nei cosiddetti “paradisi fiscali”, paesi dove si dirottano fiumi di denaro evadendo le tasse.
Tutto questo è successo da quando l’acqua, un diritto universale riconosciuto dall’ONU per ogni abitante di questo pianeta, è stata declassata a “bisogno vitale”. Così hanno deciso oltre 130 Paesi al 2° Forum Mondiale sull’acqua nel 2000 all’Aja (Olanda). Da qui si è poi arrivati a considerarla principalmente un “bene economico”, il cui valore deve essere determinato sulla base del “giusto prezzo”, fissato dal mercato. Cioè: serve a tutti, ma non spetta a tutti, visto che va controllata e gestita da privati. Da qui a trasformarla in merce il passo è stato breve. Per questo oggi si parla di “mercato dell’acqua”: essendo una risorsa limitata in quanto rappresenta complessivamente (tra dolce e salata) solo lo 0,1% del volume della Terra e di questo meno dell’1% è acqua idro-potabile. Numeri pressoché sconosciuti ai più, con la domanda prevista in continua crescita; si calcola l’80% in più dei volumi attuali, soprattutto nelle città, entro il 2050. L’affare quindi era già stato preventivato e ben organizzato dalla speculazione finanziaria già prima dello scoppio della pandemia da Covid 19.
Con il coronavirus è poi arrivato, opportunamente, il consiglio di lavarsi spesso le mani, di usare e distribuire sulle superfici prodotti disinfettanti e di potenziare i servizi igienici di base, sia domestici che pubblici. Conseguentemente il fabbisogno è aumentato notevolmente e pertanto cresceranno anche le nostre bollette e i relativi flussi di cassa per i gestori dei servizi idrici. Non a caso, dopo lo shock iniziale dovuto al panico generalizzato dalla pandemia, tutti i titoli degli strumenti finanziari legati ai fondi di investimento del settore, hanno recuperato in pochissimo tempo (già a fine maggio 2020) i valori pre Covid 19. Nel mercato finanziario, che vale circa 1,1 miliardi di dollari l’anno a livello globale, quello dell’acqua oggi è uno degli investimenti che sta ottenendo costanti performance rialziste.
Per realizzare questa inchiesta infatti, in questi giorni abbiamo controllato l’andamento dei principali titoli del settore. La media del rendimento previsto per chi li acquista a scadenza di uno, tre, cinque e dieci anni è prevista mediamente sopra il 9% (in confronto, attualmente i titoli di Stato in molti paesi hanno un rendimento negativo). Ci sono persino dei titoli che alla scadenza del 1° anno dall’investimento, offrono un rendimento di quasi il 20%. Vuol dire che se qualcuno, avendoli a disposizione, investe ad esempio in questo titolo 100mila euro, fra un anno se ne ritroverà 20 in più senza far nulla e grazie ad un semplice click sull’offerta di quel prodotto finanziario. Il tutto garantito dalle bollette che nessun politico si sogna di abbassare, vista la maggiore necessità dettata dalla pandemia. Con buona pace di chi continua a considerare e a credere che l’acqua è un diritto universale per ogni abitante di questo pianeta.