È una sorta di “vendetta” tecnologica, totalmente pacifica e non violenta. Una storia di materie, materiali, colture e culture ormai pressoché abbandonate, che non hanno resistito alla concorrenza di nuovi prodotti risultati momentaneamente più competitivi, anche se eco-incompatibili, e che oggi invece, dopo un lungo oblio, rappresentano il nostro futuro.
Prima di descrivere questa storia però, dobbiamo sgombrare il campo da un possibile fraintendimento: il rischio che le produzioni agricole per usi non alimentari e industriali possano sottrarre terreni destinati all’alimentazione umana, aggravando in tal modo il problema del fabbisogno di cibo a livello mondiale. Non è così e lo abbiamo documentato con questi articoli: La terra basta per tutti e Il lavoro del futuro è nella Natura: la riforestazione della Terra. Anche in paesi come l’Italia, ad esempio, dove di superfici utilizzabili per l’agricoltura ce ne sono poche rispetto ad altri Paesi molto più pianeggianti, soprattutto europei, si è creata una grande disponibilità di superfici agrarie che possono risolvere le grandi sfide industriali dei prossimi anni: ad esempio, la sostenibilità ambientale del settore automobilistico.
Prima di descrivere questa storia però, dobbiamo sgombrare il campo da un possibile fraintendimento: il rischio che le produzioni agricole per usi non alimentari e industriali possano sottrarre terreni destinati all’alimentazione umana, aggravando in tal modo il problema del fabbisogno di cibo a livello mondiale. Non è così e lo abbiamo documentato con questi articoli: La terra basta per tutti e Il lavoro del futuro è nella Natura: la riforestazione della Terra. Anche in paesi come l’Italia, ad esempio, dove di superfici utilizzabili per l’agricoltura ce ne sono poche rispetto ad altri Paesi molto più pianeggianti, soprattutto europei, si è creata una grande disponibilità di superfici agrarie che possono risolvere le grandi sfide industriali dei prossimi anni: ad esempio, la sostenibilità ambientale del settore automobilistico.

I censimenti decennali dell’agricoltura dimostrano che tra il 1970, quando la Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) in questo paese era di 17,5 milioni di ettari, e il 2010 (ultimo censimento agricolo concluso con dati definitivi) i terreni coltivati sono diminuiti di oltre il 30%: quasi cinque milioni di ettari, corrispondenti ad una estensione grande quanto le regioni Toscana, Umbria e Lazio messe insieme. La maggior parte di queste superfici, al netto degli ettari asfaltati e cementificati, sono state abbandonate a causa dell’impossibilità per gli agricoltori di ottenere un reddito sufficiente dall’attività agricola. Ora però le cose stanno cambiando. La prossima fine dell’era del petrolio e di tutti i prodotti sintetici che ne sono derivati sta determinando sempre più la riscoperta di prodotti naturali ottenuti da produzioni agricole, con le quali si possono sostituire integralmente componenti e fabbricazioni industriali: produzioni inimmaginabili fino ad ora.
Una di queste sostituzioni riguarda le carrozzerie delle automobili, che in futuro potranno essere costruite con lamiere fatte di zucchero e fibre di lino, al posto delle lamiere in ferro, plastica e fibre di carbonio. L’idea è stata messa a punto non a caso in Olanda, paese leader nella mobilità sostenibile. L’hanno ideata e messa a un gruppo di studenti dell’Università di Tecnologia di Eindhoven, realizzando la prima automobile interamente biodegradabile e riciclabile della storia industriale.

Il telaio della carrozzeria, fatto a nido d’ape, è stato realizzato con una bio-plastica (l’acido polilattico) ricavata dalle barbabietole da zucchero, mentre il rivestimento è composto da due fogli, uno interno e uno esterno, costituiti da fibre di lino: una pianta che può essere coltivata pressoché ovunque. Le parti meccaniche in metallo sono predisposte per il riciclo, il motore è a propulsione elettrica e l’automobile nel suo complesso pesa appena 310 kg. In sostanza, si tratta del primo veicolo che non lascia alcun tipo di rifiuto alla fine del suo utilizzo.
Il prototipo di automobile biodegradabile ovviamente è ancora in una fase di implementazione prima di essere messa in commercio: ad esempio ci sono da superare tutti i “crash test” previsti dalle norme internazionali sulla sicurezza.
L’aspetto interessante di questo nuovo progetto comunque riguarda la possibilità di utilizzare produzioni agricole per realizzare componenti automobilistiche che potrebbero determinare, almeno a livello potenziale, un grande vantaggio economico per tutto il comparto agrario a livello mondiale, senza interferire con la produzione di alimenti.
Un pò in tutti i paesi la coltivazione del lino (un tempo molto diffusa) negli ultimi decenni è stata in forte diminuzione a causa della concorrenza di altri tipi di fibre, soprattutto quelle sintetiche ottenute dal petrolio.
Anche la coltivazione della barbabietola da zucchero ha visto un consistente calo di produzione, prima a causa delle politiche imposte dall’Unione Europea sulle quote di produzione spettanti ad ogni Paese membro e dopo dalla irresistibile concorrenza dei prodotti importati dai paesi in via di sviluppo: soprattutto zucchero ricavato dalla canna.

La macchina biodegradabile può ora creare un’alleanza strategica tra industria automobilistica e agricoltura che era impensabile fino a poco tempo fa, a tutto vantaggio del nostro ambiente. Ma non è tutto.

La materia prima per produrre la carrozzeria dell’auto biodegradabile può essere prodotta addirittura dai rifiuti organici che ogni giorno buttiamo e può persino dare una mano alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Ormai hanno raggiunto la maturità industriale i bio-polimeri, cioè la plastica verde, in particolare quelli derivati dall’acido lattico. Si ottiene con la fermentazione lattica capnofilica, in sigla CLF, ed è stata brevettata dai ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del CNR, il Centro nazionale delle ricerche, di Pozzuoli, vicino Napoli. Un processo in cui il batterio tipico dell’area partenopea – la Thermotoga Neapolitana – ‘mangia’ gli zuccheri contenuti nei materiali organici, li digerisce e produce come sottoprodotto idrogeno e acido lattico. Il processo inoltre è in grado di assorbire l’anidride carbonica, che aggiunta ai rifiuti fa lavorare meglio i batteri. I ricercatori che hanno messo a punto questo processo spiegano che questi batteri, contrariamente a ciò che accade con tutti le plastiche derivanti dal petrolio, digeriscono i rifiuti organici (scarti alimentari e vegetali) e li trasformano nel monomero acido lattico che può poi essere utilizzato per fare bio-polimeri, ma allo stesso tempo producono idrogeno e abbattendo la C02. Il processo produttivo quindi è a tutti gli effetti un esempio di economia circolare.
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